Il diario in rima

Il Diario di Bordo del raduno in rima, redatta dall’amico Gian Luigi Bonardi

A richiesta di alcuni
e dedicato a tutti i partecipanti
con gratitudine per la loro presenza
e per la loro affettuosa compagnia

Nel diario sono presenti oltre a foto dell'autore anche altri fotografi del gruppo citati nella pagina "Le Fotografie"

31 Luglio, LA PRIMA DOGANA - VERSO BREST

Mattino presto: l’ora di partire.
I primi camper preser posizione.
Numero uno: “a chi sta per uscire:
“attenti ad ogni mia disposizione
quindici, e ventitrè faran da ponte,
col ventidue, e col quarantasei;
e tutte le vetture stiano pronte”.
Passaron due, tre, quattro, cinque, sei
poi tutti gli altri bene incolonnati
“Ora potete spegnere i motori”.
Ma chi saranno questi scalmanati?
si chiesero i Polacchi spettatori
nel veder camper quasi per tre miglia,
e quelle quattro ruote con casetta
e il guidator seduto che sbadiglia
e ancor chi più ne ha, più ce ne metta.

Eravamo davvero un’attrazione
in quell’attesa senza saper niente…
Chi approfittava per far colazione,
chi dava i documenti ad un sergente…
Numero uno a tutti: “per favore,
non si è obbligati, semplice è l’invito:
se vogliamo star qui per poche ore
vino italiano è certo il più gradito
da offrire al doganiere e all’ assistente”.

E così diventammo generosi,
“bando alla corruzione, è più prudente
spontaneamente offrir vini famosi
che subir onta di perquisizione”.
E tra autografi, visti e punzonate
per validar la nostra posizione
le sette ore se ne sono andate.
Uno a colonna: “accendere i motori
disporsi a destra oltre la frontiera!”
Con un forte sospiro fummo fuori
a goderci il percorso nella sera.

La strada è breve, ma la via è stretta,
Tra filar di betulle e la campagna,
sopra ogni buca, senza tanta fretta,
qualche cicogna a lato ci accompagna
verso l’eroica Brest, città Fortezza.
Nell’attesa si fa conversazione
coi baracchini, ma con correttezza,
per non creare troppa confusione.

L’indovinel delle “mutande rotte”
viene proposto per la soluzione
che viene data prima della notte;
l’”otto” indovina proprio da campione.
“Che tempo fa?” chiede il “quindici” al “nove”.
“Aspetta che il computer sto azionando…
le istruzioni mi dicono che piove,
ma difficile è dire l’ora e il quando”.

Città di Brest, valore e resistenza
contro l’usurpatore più accanito,
insegna che il martirio è una potenza
quando sembra che tutto sia finito.
Ora la stella veglia sulla soglia
di rosse mura erose nella gloria;
oltre: i fiori d’un prato son le spoglia
di eroi che non conobbero vittoria.

E de La Granda i soci più piccini
resero omaggio, e con commozione
posero un mazzolin di fiorellini
accanto al fuoco eterno e le corone.

Dall’alto, silenzioso ed imponente
il grande volto in pietra del guerriero
parve gradire il gesto e immantinente
sembrò farsi più impavido e più fiero.
Dal canto nostro, per partecipare
ponemmo il Perri in bocca ad un cannone,
un modo per poter fotografare
senza farci vedere dal “faccione”.
Terminata la visita, a sorpresa:
pane salato e vodka a volontà.

Si cena senza avere fatto spesa
soltanto con quel poco che si ha.
E mentre il cielo stenta ad imbrunire
facciam la penichella o chiacchieriamo;
un tempo breve, proprio per gradire.
Col seggiolino poi ci raduniamo
per ascoltar programma vecchio e nuovo.
Qui osserviamo un po’ più da vicino
il sol moderatore del ritrovo,

stressato al punto che col suo ditino,
al pelo capelluto facea torto,
mentre ci proponeva un rendiconto
per qualche problemino ch’era sorto…
(chi non volea sentir faceva il “tonto”).
In breve nel silenzio della sera
ogni pensiero si era fatto brezza
volando in alto, tra gli uccelli a schiera
rimasti in stormo sopra la “Fortezza”.

1 Agosto, VERSO MINSK

Periferia di Brest, tutti in colonna,
Ugo vuol far la foto secolare
con stella e matrioschina della nonna,
e non possiamo non assecondare
Si fa una sosta per rifornimento
tutti in coda, una sola colonnina.

A ripensarci viene lo sgomento,
pareva di star lì tutta mattina,
in realtà con le nostre “veline”
a prender nota e controllar l’afflusso
(le “volontarie delle colonnine”)
sorbimmo quel gasolio Bielorusso
battendo record psicotemporali,
sia nel riempire che nel scialacquare;
furon metodi poco originali:
ma dopo un’ora riuscimmo ad andare.

A pranzo gialli e verdi siam dispersi
in parcheggi distanti e separati.
Di nuovo uniti, per vicoli diversi,
al Castello di Mir siamo arrivati.

Visita breve, un pasto sotto vento
la nube minacciosa, e scatta invano
l’allarme all’Uno; un sibilo sgomento
che risuonar si sente da lontano.
Il “qui pro quo” sull’ora di partenza
minaccia di creare discrepanza,
sull’incompreso vince la pazienza,
infine la colonna ancora avanza.

 La Bielorussa olimpica ci aspetta
bando alle ciance, eccoci arrivati,
la nostra posizione è un poco stretta,
altri lungo la strada son stipati.
Pioggerellina fitta e fastidiosa,
passano atlete della pallamano,
Andrea lascia ogni indugio, avanza ed osa
parlar con bielorussa in italiano.
Scompare per un po’, dopo riappare
con bielorussa, amici e fidanzato
è proprio vero, il “saperci fare”
appartiene soltanto a chi è dotato.

Il rosso del tramonto sopra il lago
si spande lentamente dentro al cuore;
anche stasera qui si trova svago.
Nel locale lì accanto c’è il calore
d’una sera d’estate in compagnia
di ragazzine pronte ad ascoltare
musiche che hanno tanta nostalgia…
ma fatte apposta per chi vuol sognare.
Il trentadue ci invita alla sua festa;
il tachimetro è a duecentomila,
la sua felicità è manifesta,
partecipiamo, e tutti quanti in fila     
scegliamo uno dei suoi due liquori,
e ci scopriamo allegri tutti insieme:
tenere sempre alti i propri umori
in circostanze simili conviene.
Lì fuori c’è una rossa bielorussa
dotata di vettura d’alto bordo;
tra i fumi della notte già si smussa
l’immagine in un semplice ricordo.
Domani questa nostra carovana
invaderà la Russia alla frontiera;
in rubli trasformiamo un po’ di grana,
sperando di passar prima di sera.

2 Agosto, VERSO LA FRONTIERA RUSSA (seconda dogana) E SMOLENSK

Quarantaquattro camper compattati
si sono presentati alla frontiera;
i doganieri li hanno dirottati
in un recinto, oltre la barriera.
La copia d’ogni documentazione
ancora viene fatta tutta a mano,
qui non esiste alcuna automazione…
Chi va piano va sano e va lontano,
ma se vuoi dare un’accelerata
sai ciò che preferisce questa gente?
di grappa una felice bicchierata,
la solita mazzetta non val niente.
Scherzi a parte il lavoro è faticoso
e si prolunga spesso anche per ore
e l’aspettar diviene assai noioso;
meglio pranzare quindi nel timore.
A fine pasto la buona novella:
dopo tre ore di paziente attesa
viene aperto il recinto, e dalla cella
veniamo fatti uscire, senza offesa.
Uno a colonna “porsi a destra fuori
in progression di numero crescente”.
Riprendon vita i mobili motori:
di qui si va per sconosciuta gente.

Centosettantasei gomme rotanti
stan scivolando sopra il russo asfalto
fra rottami di camion circolanti
ed auto che direi “senza lo smalto”.
Sorpassar sulla destra la colonna
par esser l’esercizio più cercato,
anche se il mezzo sembra di tua nonna
e lo trovi più avanti sfumacchiato.
Più divertente è l’autoarticolato
che da sinistra azzarda il gran sorpasso
per essere miglior del tuo ducato,
rischiando certamente lo sconquasso.
L’ordine nostro è di rispettare
i segnali stradali ad ogni costo.
La polizia col laser sta a guardare
se la velocità resta al suo posto,
altrimenti: paletta… complimenti!
ed il malcapitato malandrino
dovrà versare i sacri emolumenti,
o fingere di essere cretino.
Quindici a nove: “Dai la previsione?”
Nove a colonna “Sono appisolato
ma prevedo ben presto un acquazzone
alternato a un momento soleggiato”.
    
Il baracchino è un mezzo interessante
da usarsi, sempre senza disturbare,
per farsi una cultura itinerante
su qualche cosa che vuoi ricordare.
Si vien così a sapere che la dacia
è una villetta con pareti in legno
formate d’assi unite con sagacia,
mentre l’isba, potenza dell’ingegno,
ha pareti di tronchi incastonati
con camere per tutta la famiglia
letto in soffitta, culla per neonati,
tutta ordinata da far meraviglia.
Si conversa di funghi e samovar
di tonde signorine a bordo viali,
di che caffè si beva dentro i bar,
di cavalli, di capre, di maiali;
di segale, di frutti di campagna;
del cinghialetto morto sul selciato,
del bimbo nel laghetto che si bagna
e di quant’altro ho qui dimenticato.

Dopo la sosta idraulica accordata,
dopo un rifornimento comandato
a Smolensk in campeggio la fermata
nel bosco che sembrava abbandonato.

Qui c’è l’acqua, la luce, il gabinetto
la sauna con le docce ed altre cose,
ciascuna certo soffre d’un difetto
ma tutte forse sono dignitose:
l’onor di un utilizzo ritrovato,
forse non necessario in brutti tempi,
dona lustro anche a un cesso sgangherato
se con soddisfazione il rito adempi.
Anche questo è turismo itinerante:
farsi carico d’ogni imperfezione
e renderla efficace e interessante
migliorandone il gusto e l’opinione.
Qui, dopo cena, morsi di zanzara,
e matriosche scelte al mercatino.
    
Il giorno dopo, senza la fanfara
tutti pronti e puntuali nel mattino.

3 Agosto, VERSO GAGARIN E MOSCA

Partiti da Smolensk in fila indiana
ora ci attende Mosca capitale.
Sul ponte incrocian già la carovana
quelli che han percorso il primo viale.
Ospitavamo Alessandro e Simone,
che con Andrea giocavano alle carte
senza rumore, e con concentrazione,
mentre i due cagnolini lì da parte
li osservavano molto trepidanti:
per gli estranei sentivano timore
oppure erano solo imploranti
per un osso squisito nel sapore?
Mentre venivan presi e accarezzati,
(com’era certo la loro intenzione),
la voce guida ci ha richiamati
dal baracchino a maggiore attenzione.
Uno a colonna: “siamo in autostrada
fare attenzione ai limiti preposti”
Ripete il Ventidue: “su questa strada
ricompattarsi, costi quel che costi”.
Malgrado queste raccomandazioni
un tachimetro sfugge all’attenzione,
difficile è il controllo delle azioni
mentre il laser funziona a precisione.
Così, tra scuse e interpreti zelanti
viene multato il povero sfigato:
tacere bisognava, e andare avanti!
E tutti siam rimasti senza fiato.
Sosta al Gagarin, si prepara il pranzo;
si acquistan pesce fresco od essiccato
e si conserva quel che v’è d’avanzo…
due foto con le belle del mercato.

Proseguendo c’è tanto da vedere:
sul bordo della strada: col catino
vendon ribes, mirtilli, mele, pere,
son lì probabilmente dal mattino;
vecchiette, ragazzine, famigliole,
al commercio al minuto dedicate,
offrono funghi, fragole, nocciole.
Le regole son troppo complicate:
si obbliga la gente di campagna
a vivere di quel che le deriva,
mentre nella città più si guadagna
consorziandosi in cooperativa.
Quindici a nove: “dimmi perché piove?”
dal Nove: “dei volatili è il dispetto,
lo vedi quello stormo che si muove?”
Dal ventitré “ma va, son gli angioletti
che fanno la pipì sopra la terra”
Il ventiquattro sembra divertito.

Nel “Vagabondo” gruppo d’eccezione:
Alessia, Eliana, Giorgia e i due cagnetti
con Andrea fanno grande esibizione.
Nella scena i due cani, poveretti,
vengono sottoposti a pulizia
di orecchie, pelo, coda, naso e denti;
dietro la Ludovica fa la spia
e filma quei momenti divertenti.
Dopo si vien parlando della guerra,
del corpo degli alpini che è sparito
vicino al Don, in mezzo ai girasoli…
si fa silenzio, forse una preghiera.
Volteggian le cicogne in strani voli
e nasce un “pensierino della sera”

Nel frattempo tra un dire e un ascoltare…
Uno a colonna: “tutti compattati
nessuno deve adesso più fiatare
salvo color che sono comandati”.
La prima vera impresa sta iniziando,
quarantaquattro camper tutti insieme
la città tutta stanno attraversando:
“d’un era nuova qui piantiamo il seme”.

E per le vie di Mosca, con stupore
nel veder tanti camper italiani,
bimbi, ragazze, uomini e signore
non sepper trattenere il battimani.
Quel che più conta è che mai nessuno
traversò Mosca in simile parata,
dentro casette a ruota in cento e uno.
Tutta la fila sempre compattata
per tutta la città, senza sbagliare.
Uno a colonna: “pronti a far manovra;
ci siamo, ci dobbiamo sistemare
in parallelo, non come una piovra”.
Dentro al Sojuz hotel, cosa importante,
tre camere qui son tutte per noi,
con letti, fresco e doccia confortante
a turno vi puoi fare ciò che vuoi.
Qui la sosta sarà più prolungata,
diamo da bere ai camper assetati,
per qualche tempo è chiusa la sfilata.
Intanto ci si dedica ai bucati.

4 Agosto, MOSCA, VISITA AL CREMLINO

Quella mattina fummo accompagnati
con pullman in due gruppi separati
e i viali percorremmo spesso in coda:
delle grandi città questa è una moda.
Tra immense case ed annosi palazzi
spesso con fregi, colonne ed arazzi,
in mezzo a grandi piazze si son visti
politici, poeti e musicisti.
Sapemmo delle sette Candeline
e dell’ottava che non ha ancor fine;
“si vedon già le cupole e il Cremlino
qui c’è il Bolshoi, rallentiamo un pochino”.

Si fa sosta all’entrata delle mura,
che tutt’intorno fanno da cintura
ai templi con le cupole dorate,
osservate, filmate ed ammirate.

Quanti Italiani, quanti Giapponesi…
i biglietti d’entrata son contesi,
ma i nostri gruppi, con prenotazione
sorpassan senza fare confusione.
Lo stendardo non passa nell’interno:
vietato! c’è il palazzo del Governo.
Ci assoggettiamo a questa imposizione
pensando ad una prossima occasione.
Intanto nella piazza per bravata:
fotografia di sciarpa dei Granata.

Foto di gruppo, e andiamo a visitare
icone, santi, gli ori dell’altare,

le tombe incastonate degli Zar…
vien voglia di restare ad ascoltar
di Ivan Il Terribile la storia
paranoico sovrano che ha la gloria
d’aver nel raptus dilaniato il figlio,
ma allargato il regno qualche miglio.
Note sui Patriarchi e sulla mirra.
Il caldo fa venir voglia di birra.
Si guarda in alto verso il campanile
e le tante campane tutte in stile.

Insegnavan che in genere le icone
simboleggiano in guerra protezione.
Oltre l’iconastasi, dentro al tempio,
non vien lasciato alcun accesso all’empio:
è il confine tra il mondo spirituale
ed ogni altra cosa temporale.
Tra i record dei più grandi sulla terra
v’era un cannone che non fece guerra,
e un campanone posto in mezzo a un prato
che dicon non avere mai suonato.

L’ora si è fatta tarda, occorre andare
a passo lesto per il desinare;
alcuni al ristorante, altri sparsi
nel centro commerciale ad arrangiarsi.

Smaltita la piacevol situazione,
ci si ritrova per l’esibizione
presso la tomba del milite ignoto,
pronti a riprese e scatti di foto.
Il cambio della guardia ha avuto inizio,
il battere dei tacchi n’è l’indizio.
Tre militari a passo cadenzato,
sollevando le gambe a perdifiato,
avanzano nel piccolo vialetto,
e sui gradini, quasi ad un balletto,
a dritta e a manca spostano i bacini,
e fan con gambe e piedi strani inchini,
quindi con scatti abili e studiati
scambiano i posti, ancor sincronizzati,
con le guardie che hanno terminato
il turno ch’era stato comandato.

Perché la guardia non abbia difetto,
spetta soltanto al capo del picchetto
porvi rimedio scrupolosamente,
tra la curiosità di tanta gente.
Noi siamo grati ai giovani custodi
giunti colà, con così strani modi;
sappiam che custodiscon con onore
anche i dispersi alpini e il nostro cuore.     

In via Arbat, c’incamminammo poi,
nota per il soggiorno di Tolstoj,
già cuor della bohème ottocentesca.
Si fa shopping bevendo birra fresca.
Tornando, dopo prolungata attesa,
ci siam fermati a fare tutti spesa.
Ai nostri camper eccoci arrivati.
Perri e Pepita vengon liberati.
Dopo le docce, una frugale cena;
di far tardi stasera non si ha vena.
I discorsi dei meno addormentati
sembrano farsi sempre più ovattati.

5 Agosto, MOSCA, VISITA MUSEO PUSHKIN, CHIESA CRISTO SALVATORE, BATTELLO

La visita prosegue, è un altro giorno
verso il centro città si fa ritorno.
Alla fermata il solito vociare
dei venditori che ti voglion dare
guide, colbacchi, tante matrioschine,
cappelli militari, cartoline,
stemmi, spille, matite, scatolette
scialli fatti con lana di caprette.
Come già programmato in alte sfere
ai verdi spetta il turno di vedere
museo Pushkin e Cristo Salvatore,
e ritrovarsi qui tra cinque ore.
Pushkin, poeta russo tanto amato,
il museo d’arte ebbe dedicato
da un professore d’università
che per studenti d’ogni ceto o età
escogitò di fare una raccolta
d’opere originali, volta a volta
trasferite da luoghi assai lontani:
ne fece una delizia per gli umani.
Oltre alla Lollo, posta nell’entrata,
e nei molti suoi film raffigurata,
da sé stessa, con molta bravura,
in una mostra certo duratura,
all’interno vi son capolavori
in tela, marmo, bronzo, e con colori
mescolati con arte dagli artisti,
per la gioia e il sollazzo dei turisti.
L’interessante giro non annoia:
c’è il tesoro di Priamo, re di Troia,
ci sono Botticelli e Perugino
autore di “Madonna con Bambino”,
gli impressionisti (molti son francesi),
e vedemmo fiamminghi ed olandesi.
Tutto guardammo sotto l’occhio attento
di vigilesse dal volto sgomento:
forse il residuo del vecchio regime
che ancor oggi, nel piccolo, ti opprime.

Breve distanza e fummo al “Salvatore”
ove entrammo col minimo rumore.
Più volte costruiron quella chiesa,
l’ultima volta fu troppa la spesa.
L’interno finemente è adornato
da dipinti del secolo passato

Assisto nella cripta a una funzione
un canto fa vibrar di commozione.
Mi sorprendono i gesti dei presenti,
che dopo inchini rapidi e frequenti,
vanno a toccare il suolo con il mento
per devozione, o forse pentimento.
Poi per salir sul grande cupolone
a veder Mosca nella sua estensione,
usammo l’ascensor, guardati a vista
dalla solita “guardia per turista”.
Breve salita e una scala ci spetta
per proseguire in su con meno fretta.

Dall’alto della tonda balconata
ai piedi della cupola dorata,
in video si cattura la Moscova
che scorre tra la Mosca vecchia e nuova.
Altre immagini anche del Cremlino
e tutto quanto appare nel mirino.

In battello con buffet
Un pranzo consumato in pizzeria,
quindi è già giunta l’ora di andar via.
Al parcheggio speriam di giunger presto
ma quel ritorno non fu proprio lesto;
il tempo di cambiarsi di vestito
e il nostro pullman era già partito
per raggiungere al fiume quel battello
che dovea farci dire “ma che bello”.
Qui, tutti insieme appassionatamente,
come La Granda vuol per la sua gente,
godemmo della breve traversata,
e della confortante tavolata.
Vodka, cetrioli, pesce a volontà,
con dolci ch’eran proprio una bontà,
aprirono e richiusero la cena
d’una giornata lunga, ma serena.

Al suono d’una musica locale
scivolavamo lenti sul canale
mirando quella Mosca illuminata
che stava per finir la sua giornata.
E così vera fu la suggestione
che si potrebbe farne una canzone.
Numero Uno qui prese la mano
dell’avvenente russo capitano
ed abbracciando anche il suo tenente
senza che gli altri ne sapesser niente,
si fece fare una fotografia,
(scusatemi se qui faccio la spia).

Finito è il giorno, ma la notte no,
abbiamo ancor da far ciò che si può,
e dato che da lì non è lontana,
scendiamo nella metropolitana
ad osservare i grandi candelieri,
i gruppi di operai eroici e fieri
in quadri di maiolica famosa,
divisi da pilastri in marmo rosa.

E ancora per finir la collezione
andiamo a visitare alla stazione
una carrozza di transiberiana
già pronta per la terra più lontana.
Mentre la pioggia comincia a cadere
sul nostro pullman torniamo a sedere,
sarà un rientro breve e sonnolento…
e prima di arrivare mi addormento.

6 Agosto, SERGIEV POSAD, CENTRO SPAZIALE

Il pullman “gran turismo” presto arriva;
saliamo come dentro ad una stiva
sperando che il motor non sia bruciato
come quello di ier, ricoverato.
Di San Sergio giungiamo al monastero,
che gran sostegno reca al forestiero.
Chi scriva sopra un foglio una preghiera
e la consegni oltre una ringhiera,
Di certo ha un risultato garantito:
prima di sera il supplice è esaudito.
“La cattedrale della Trinità
per oggi visitar non si potrà”.

 Finito il giro allora, mano a mano,
ci siam diretti a piedi, non lontano,
ad ammirar giocattoli di legno,
frutto della pazienza e dell’ingegno.

 La visita fu molto interessante.
Spiegazioni ne furon date tante
che il “Ventitré” a furia di ascoltare
non resse oltre e si sentì mancare.
Fu subito soccorsa, e in un momento
fu superato il piccolo spavento.
Ritrovato l’assieme e l’armonia
Già venne l’ora di una nuova via.
    
Senza saper dove saremmo andati
nel pomeriggio fummo trasportati
a scoprir quale fosse la sorpresa.
che lungo il viaggio ci tenne in attesa.
Ciascuno ipotizzava mete strane;
le ipotesi eran molte, tutte vane.
In una strada di periferia
sostammo al lato destro di una via.

 “Sembra un luogo dismesso militare
e sopra v’è una scritta da guardare:
è “Mission Control Centre”, la centrale
che controlla ogni modulo spaziale.
Questa sì per La Granda è un’occasione
da cogliere con trepida emozione.”

Fummo ospitati in sala conferenza
dove ci fu spiegata con pazienza
la storia della Mir, la piattaforma
che stette nello spazio oltre la norma
per ricader con tanta precisione
là dove stabilì la previsione.
Quindici a Nove: “Ora sei commosso?”
“Dopo risponderò, ora non posso”.
Poi fummo accompagnati nel salone
ove si consumò l’operazione:
fase per fase Mir fu controllata
dal primo giorno fino all’ammarata
e il tempo si è fermato a quel momento:
quel gran salone ora è un monumento.

Da lì provammo un’altra situazione:
accompagnati in un nuovo salone
all’opera vedemmo il personale
che controllava un modulo spaziale:
era orbitante proprio in quel momento
nel giusto tratto di collegamento.

Verificammo allor con emozione
nel percorso l’esatta posizione;
che cosa succedeva in quell’istante
era raffigurato su un quadrante:
la linea di percorso era perfetta,
e noi la vedevam tutta in diretta.

Manarov, l’astronauta, con pazienza
commentò sorridente l’esperienza
del record nello spazio conquistato
rimanendo più a lungo in quello stato.
Con lui il direttore generale
di tutto questo ambito spaziale.
Risposero con semplice umorismo
anche a domande intorno al comunismo;
per loro, forse, troppa confusione,
ma per La Granda: che soddisfazione!
Non mancarono autografi e filmati,
che non saranno mai dimenticati.

Si ritornò alla base, commentando
“dell’indomani quale il dove e il quando?”
“Doman l’Anello d’oro è programmato,
andremo là dove ci porta il fato”.
Perri e Pepita fanno un parapiglia
nel veder ritornata la famiglia
la notte già nasconde ogni colore
e nessun altro v’è che fa rumore.

7 Agosto, ANELLO D'ORO, VLADIMIR, SUZDAL

 A Vladimir, oltre la “Porta d’Oro”:
la piazza, un monumento che ora ignoro,
 il vialetto nel verde fra le piante

 i piccioni, la cupola elegante
il campanile della grande chiesa
contenente l’icona più contesa
della Madonna della tenerezza,
che tempo fa difese con fortezza
la Tatara invasione, e fu per questo
che Vladimir con generoso gesto
la diede ad un chiesa moscovita,
e poi non venne più restituita.
Oltre quel campanile son spuntate
nel mezzo quattro cupole dorate,

dal retro un panorama a perdifiato,
di fianco c’è un camino lì spuntato.

 Foto di gruppo, i gialli tutti insieme
“fermi, silenzio” e lo scatto si preme.

 A San Demetrio visita al portale
con fregi e stucchi che non sono male.
Più avanti c’è una timida sposina
tutta in azzurro, volto da bambina
e il coniuge con tanta tenerezza
la giacca le donò contro la brezza

La sosta è breve, ma il romanticismo
rallegra il cuore e crea dell’umorismo.
Alla fontana va l’ultimo sguardo
“Andiamo via che già siamo in ritardo.”
Dopo aver visto dacie colorate,
ai bordi della strada incolonnate;
dopo che l’Uno ci ha comunicato
quali bellezze avremmo visitato,
e dopo l’ incredibile sorpasso
d’un camioncino ch’era uno sconquasso,
giungemmo in un parcheggio con mercato,
ma il “nostro” è in altro luogo situato.

Qui continuò la sfida alla conquista
di foto con ragazza a prima vista;
stavolta vinse l’Uno, ma attenzione,
non basta ancor per essere “Campione”.
Città di Suzdal: arte e poesia
che si fondono insieme per la via,
testimonianze di bei tempi andati
le costruzioni armoniche nei prati.

E’ giunta una carrozza, sto a guardare
i due cavalli pronti a trainare,
e mentre guardo sfugge il puledrino
che spaventato, il povero tapino,
agitandosi emette il suo nitrito
rifiutando qualsiasi altro invito.
Soltanto la padrona, con prudenza
sa vincerne alla fin la resistenza.

Musica russa, il fisarmonicista
per qualche rublo suona e ti conquista.

Al ristorante non troviamo posto
e ci pareva già elevato il costo.
Così ci disperdiamo nel paese
a cercare panini e a fare spese.
Wuster e crauti e un grosso gelato
sono per oggi un pranzo prelibato.
Lungo il muretto: commercio al minuto;
mirtilli e ribes posti in un imbuto
vengon versati nella plastichetta
e la nonnetta russa li impacchetta.

 Fiero di avere fatto quell’acquisto
soddisfatto per tutto ciò che ho visto
torno al primo mercato, l’ora è tarda
c’è nel camper ancora una “Bonarda”.
Prima di terminare la giornata
ancora a Vladimir si fa fermata
per visitar l’interna cattedrale
della madonna, e dell’altar le Pale.

Attento nel sognar ciò che domani
farà La Granda con le proprie mani
rimango addormentato sul mio posto
e il sonno è duro, più che duro è tosto.

8 Agosto, L'IMPRESA, ARRIVO A NOVGOROD


La sveglia già annunciata è di buon’ora
Uno a colonna “Vi ripeto ancora,
sarem scortati dalla polizia
attendere il segnale del mio via,
quindi compatti andremo silenziosi
in Piazza Rossa a divenir famosi.
I semafori non ci fermeranno
perché i Russi passare non potranno
anche se il rosso ci viene proposto.
Manteniamo nel viaggio il nostro posto.
Non conversiamo con il baracchino,
importante comunque è star vicino.
Ecco, la polizia è arrivata,
formiamo ora La Granda in sfilata”
Il serpentone viaggia a luci accese
e molti si dilettano in riprese.
Breve fermata in piazza del Bolshoi;
già ci sentiamo diventare eroi.

Di lì a poco costeggiam le mura,
ormai l’impresa è… cosa sicura.
La svolta a destra, siamo sulla piazza,
uno spazzino ferma la ramazza.
La polizia si mette in posizione
e controlla la nostra postazione.

A semicerchio sotto San Basilio,
mentre gli ultimi sono ancora a un miglio.

Altra manovra, e in breve tutti insieme
siamo riusciti in quel che più ci preme.
Quarantaquattro camper compattati
si sono in Piazza Rossa allineati.
E tra i curiosi qualche giornalista
resta meravigliato a quella vista.

“Siam camper italiani de La Granda;
è sufficiente per la propaganda?
Siam di Torino, Napoli, Milano,
Bari, Roma, Venezia e più lontano,
Genova, Cuneo, Bergamo e Biella
e altri ancora: forse da Sardella
o Calizzano, Lodi, Mondovì
non tutti son potuti essere qui.
E’ una pattuglia per aprir le ante
all’italo turismo itinerante
e far capire agli altri quanto vale
per un futuro ancor più eccezionale.
E nella sopraggiunta confusione
qualcuno riesce a dirlo anche a Tassone.
La notizia rimbalza nei messaggi
e si raccolgon complimenti e omaggi.
E’ l’ora degli urrah, dello spumante:
sventola la bandiera itinerante
con lo stendardo dell’Associazione
oggi alla Granda è festa e commozione.

E tutto quanto verrà riportato
dal nostro operatore in un filmato
e nelle tante foto dei presenti…
Oggi possiamo essere contenti.
Vorrei qui fare i nomi di ciascuno
ma sono troppi, proprio cento e uno.
Un grazie a tutti quanti nel complesso
per ognuno di noi vale lo stesso.
Uno a colonna “Tutti in carovana”
e si sente un rintocco di campana.
Forse anche Mosca ci vuol salutare
sperando di vederci ritornare.
E allora ciao, città spettacolare
ora torniamo al nostro casolare
portando in cuore immagini sfocate:
le Candeline, cupole dorate,
gli Zar, le statue dei tuoi musicisti,
le piazze e i mercatini per turisti,
icone, templi, stadi, il tuo Cremlino,
la vodka… e qui ne nasce un pensierino.

Dal Nove: “Ho appena rilevato
dal satellite un comunicato:
forse tra un po’ è previsto un acquazzone
o forse avremo un po’ di solleone.”
Dal ventiquattro: “Ma che precisione…
Sei certo che non sia circonvenzione?”
“Ripeterò fra un poco a cose fatte
se queste previsioni sono esatte”.
Mentre Ugo ci parla della Olga,
sul ponte attraversiamo il fiume Volga
ove si fa la “sosta colazione”,
in attesa che arrivi l’acquazzone.
Si vedon le ninfee sopra i laghetti
sulle quali riposano uccelletti,
e tanti prati, isbe, dacie, e piante…
questa sera la meta è più distante.
Vien giù quell’acquazzone per davvero:
si crede al meteorologo sincero.
Il samovar diviene un argomento
su cui potere far riferimento
per dire quattro chiacchiere in famiglia,
tanto non v’è nessun che se la piglia.

L’arcobaleno mostra i suoi colori.
Siam giunti ad un parcheggio e lì di fuori
c’è una vecchia chiesetta diroccata:
San Pietro e Paolo l’han denominata;
intorno c’è il profumo della menta
peccato che chi legge non lo senta.
Beati i primi che sono arrivati,
gli ultimi in coda sono disperati.
Si discute sui prossimi percorsi
sui chilometri fino a qui trascorsi.
Più tardi ancora par che la promessa
di andare in discoteca sia repressa.
Ne nascono opinioni divergenti,
tra entusiasmi, preghiere e lamenti
v’è chi rifiuta contro la sua voglia
e per protesta nel camper si spoglia
con musica all’orecchio così forte
da non sentir richiami oltre le porte

9 Agosto, NOVGOROD, VERSO SAN PIETROBURGO


Nell’attesa del pullman la mattina
si va alla caccia della monetina
tra le tante cosparse dagli sposi
porta fortuna per i più curiosi.
Novgorod, “città nuova”. Da paura
di incursioni nemiche, era sicura:
migliaia di paludi e le foreste
tenevano lontata tale peste.
Era la strada che rendea vicini
all’Europa l’Arabia e i Bizantini.
Al millenario Russo un monumento
tondo e imponente, avente ad ornamento
fregi con centonove personaggi
altorilievi di potenti e saggi.
Si dice che campane e campanelle
qui sian le più famose e le più belle,

e di betulla la lavorazione
della corteccia sia vera emozione,
tanto che i contadini detta pianta
pensano sia di provenienza santa
“l’amica che dio vuole regalare
alle genti del nord” per farsi amare.
A Novgorod abbiamo un’altra meta:
quell’antica città dall’aria quieta,
ha nel cuore un museo tutto speciale,
semplice, senza abito regale.
Nel verde l’isba fa la sua figura
con tronchi per pareti in legna dura.

Nel buio dell’interno son gli attrezzi,
presso il camino sta la legna a pezzi,
oltre la scala, la sala da pranzo
sul tavolo sta ancora qualche avanzo.
C’è pure il samovar, e una poltrona,
l’”angolo rosso” con la propria icona.
Una piccola culla sta nel fianco
e l’arcolaio sta vicino al banco.
In alto, proprio appena sotto al tetto
v’è lo spazio ove rimanere a letto
d’inverno, quando un tepido calore
tende a salire, senza far rumore.
Sia la Russa in costume che la figlia
si prestano per “foto di famiglia”.
Proseguendo nel verde sul sentiero
chiesette ed isbe: tutto qui è vero:
di tempi andati son testimonianze
per tramandare a noi costumi e usanze.

Numero Uno vien fotografato
con la consorte su nel porticato
presso l’entrata della cattedrale,
speriamo sia una foto “mica male”.

“Ventiquattro non trova più gli occhiali”
tutti a cercarli nel verde tra i viali.
“Sono quelli da vista, è uno sgomento…”
tutti gli sguardi son sul pavimento.
Insieme è “cercare in mezzo ai prati
solidalmente molto preoccupati”.
E la ricerca, fortunatamente
va a buon fine repentinamente.
Usciti, nel consueto mercatino
Pina s’appresta al solito “bottino”.

Sopra l’androne di Santa Sofia
Quindici fa le foto e fa la spia:
riprende le campane e il nostro gruppo,
vedremo tutto dopo lo sviluppo.

Per sfuggire alla solita ripresa
tutti in coda e andiamo nella chiesa

Fuori ancora un incontro con gli sposi
ed i parenti tutti premurosi
nell’accettare i nostri complimenti
tanto da far vedere tutti i denti.

S’è fatto tardi, ancora un po’ di strade
fra case un po’ malconce e le contrade
ove stavan nascoste ed adombrate
dal verde anche le isbe colorate.
Di tanto in tanto qualche poliziotto
si prestava all’agguato là di sotto.
Il traffico ci ha un poco scompigliati,
difficile restare compattati.
Venne decisa un’idraulica sosta
e come se l’avesser fatto apposta
i Russi hanno piazzato proprio lì
un divieto di fare la pipì,
con tanto di cartello con l’omino
intento nel fatidico “scrollino”.

Si disse: “Non riguarda le fanciulle”,
che di un certo attributo sono nulle;
e se prima ci avessimo pensato
sarebbe stato giusto che in quel prato,
alle spalle degli uomini, le donne
avessero tirate su le gonne.
Scherzi a parte, a sosta terminata
riprendemmo la via, senza fermata.
Si chiese al Nove se: “domani piove?”
“Fin che questa carlinga non si muove
non potrò dare alcuna previsione,
attendo che l’aereo sia in funzione
per esplorare in orbita raggiunta
se domani vedrem sole che spunta”.
Uno a colonna: “E’ l’ora di tacere
San Pietroburgo è pronta per vedere
La Granda in formazione che attraversa
senza che una vettura sia dispersa”.
Torna la sveglia, torna l’emozione,
ogni camper mantiene posizione.
Mentre scorriamo per le vie del centro,
qualcosa in più sembra ci cresca dentro,
e fra saluti, applausi e baci al vento
a noi tutti, che siam “uno più cento”
si presentano in fretta, nel passaggio
i primi monumenti, come assaggio.

Vediamo l’oro dell’Ammiragliato,
costeggiam l’Hermitage lungo un suo lato.
Il Sei si ferma alquanto bruscamente
l’otto ci schiva urlando all’incosciente.
Archi, curve, passaggi pedonali
per camperisti ostacoli banali.
L’acqua che danza fuor dalla fontana.
Il Palazzo d’Inverno s’allontana.
Oltrepassiamo il Ponte sulla Neva;
anche se qualchedun non ci credeva
quarantaquattro camper senza fiato
San Pietroburgo hanno attraversato
e all’isola Krestovskij han parcheggiato.
Fermata al parco olimpico gremito.
Vicini più che mai, nel nuovo sito
un poco rimpiangemmo altro turismo,
ma sostenuti da nuovo umorismo
insieme ci trovammo a commentare
dell’indomani il come, il quando, il fare.
La luce ancor faceva capolino
ad ora tarda, cena con panino.
Il recinto fu chiuso con lucchetto,
tacere bisognava, e andare a letto.

10 Agosto, SAN PIETROBURGO. L'ERMITAGE, GIRO PER LA CITTA', LA CENA


S’è fatto giorno, con look rinnovato
si va nel nostro pullman parcheggiato.
Come sorpresa abbiam la nuova guida
che a bassa voce, in mezzo a tante grida,
sa raccontar con molto sentimento,
anche se imperfetto è il suo accento,
le storie e i fatti sanpietroburghini,
sia quelli vecchi che i più vicini.
La voce col microfono ci incanta,
ma senza… gli scompare tutta quanta;
beato chi vicino può ascoltare
per gli altri proprio nulla c’è da fare.
Lungo il percorso, tanto di cappello:
giardini Mikhajlovskij, con castello,
palazzi, colonnati, grandi piazze,
si vedono i ragazzi e le ragazze
nei parchi passeggiar man nella mano;
dall’Hermitage non siam tanto lontano.
Di Caterina il merito sovrano
d’aver commissionato a un Italiano
dopo il Palazzo, un’altra costruzione
per custodire più capolavori
fatti per conquistar la mente i cuori.
La lunga, lunga coda dell’entrata
per La Granda è una breve “svicolata”
e ai soliti turisti giapponesi
non resta che guardare un po’ sorpresi.

Più sorpresi siam noi, quando all’interno
l’esposizion del Palazzo d’Inverno
si mostra in tutta la magnificenza
facendo sfoggio di grande opulenza.

Le volte decorate, i colonnati,
le pareti e i soffitti affrescati,
fregi, bassorilievi, tutto intorno
pareva fosse lì solo da un giorno.
Quella carrozza d’oro affascinante
sbalordisce il turista itinerante.

Non potendo trasmetter per iscritto
l’armonico colore di un soffitto
o la bellezza dei capolavori
nati da mescolanze di colori,
o sentimenti, pazzia e passione
che fanno grande ogni commozione,
segnalo solo il caso un po’ speciale
del cacciator feroce di animale
che legato coi suoi cani a testa in giù
venne arrostito, ed ora non c’è più:
a farlo fuori furon le sue prede
che a lui resero ciò che ad esse diede.

C’è poco da ridire, in quell’ambiente
ti sembra d’esser poco o più di niente,
ma quando approfondisci il tuo passato
ti senti grande, e fiero, e tanto grato
d’essere parte di quell’emozione
perché sei figlio di tanta legione
di pittori, scultori ed architetti,
autori così abili e perfetti
da essere l’orgoglio di chiunque
passi di qui venendo da dovunque.
Noi, figli dell’italico gambale,
abbiam rappresentanza mica male
in quel lontano angolo di artisti;
possiamo dire d’esserci rivisti
in compagnia di tale Raffaello,
di Leonardo, Giorgione e Pisanello,
d’Angelico Beato e di Tiziano,
di tanti altri, osservati man mano:
Canova, Buonarroti e Caravaggio
soltanto questi per averne un saggio.
Dopo i moderni e gli impressionisti
i macchiaioli e i grandi cubisti
l’ora del pasto si faceva stretta;
al self service andammo di gran fretta.

Pasto completo. Mezzi riposati,
in poco tempo ci siamo rialzati;
la pennichella era da saltare,
nel pomeriggio v’eran da guardare
la Neva, i parchi, i monumenti, i viali,
le basiliche e i ponti sui canali.
La “Venezia del nord” viene chiamata
San Pietroburgo, d’acque circondata,
che d’inverno son tanto congelate
da permettere lunghe passeggiate
a chi si senta così baldo e fiero
da farsele a ventuno sotto zero.

Fatto l’appello col pullman si parte.
Prima passiamo dal “Campo di Marte”,
che un tempo era zoologico giardino
ed ospitava un elefantino,
un animale strano e sconosciuto
che qualcuno allo zar avea venduto.
Fin qui la cosa sembra assai banale,
ma bisogna saper che all’animale
ogni sera, durante ogni “festino”,
veniva offerta vodka in bicchierino,
e venendo pian piano ubriacato,
morì dopo un sol anno alcolizzato.
Giro turistico nella Prospettiva…
La guida dal microfono istruiva.
E così fra palazzi in stile impero
e monumenti in stile più severo,
attraversato il ponte sulla Neva,
da cui l’Ammiragliato si vedeva
con le guglie dorate, oltre la sponda,
mentre i battelli facevano onda,

scendiamo in una piazza lì vicina,
ove la sposa fa la ramanzina
al proprio sposo che stava brindando
mentre noi lo stavam fotografando.
Passa intanto un drappello militare
e la Pina si sente circondare,
ma appena se ne avvede tenta invano
di prender qualche giovane per mano.
In braccio aveva già preso un’orsetto
e l’avea posto stretto sopra il petto.

Neoclassico e pulito il colonnato
di marmo bianco fa da porticato,
in alto c’e’ la statua del Nettuno:
con Neva e fiume Volkov: un tutt’uno.

Il palazzo con dodici sporgenze
sta vicino al palazzo delle scienze,
l’uno era adibito a ministero,
l’altro al più elevato magistero.
San Nicola si spande nei canali
venuti da tre ponti, tutti uguali.
Sant’Isacco ha la cupola gigante;
sul suo prato sta un passero ruspante.

Quando già qualcheduno ha mal di calli
giungiamo ai “Domatori di cavalli”
costruiti sul ponte dal Colonna
poco prima dei tempi della nonna.
Forse più tardi viene l’imbrunire,
ma purtroppo è già ora di finire
la visita turistica mirata:
San Pietroburgo è città incantata.
Trovato il tempo per un pisolino
si va al supermercato a far bottino.
In tardo pomeriggio, per la cena
riusciamo a imbellettarci a mala pena:
questa sera ci attende il ristorante…
speriam nell’abbuffata da gigante.

Ripercorriamo un poco contrariati
le strade nei medesimi tracciati;
il traffico è cessato, finalmente,
e questo un breve viaggio ci consente.
Nel pullman è tornata l’allegria:
turismo itinerante è mandar via
ragioni di contrasto e di disguido…
che cosa ci sto a far, se non mi fido?
E questa volta, altro che premiata
la fede in un’amabile serata.

Luci soffuse, ingresso con scaletta,
a destra puoi andar nella toiletta,
a sinistra le tavole imbandite
attendono di essere inghiottite

Antipasto alla vodka con caviale,
poi ravioli e secondo con maiale:
un euro in più se vuoi la maionese…
Pina non vuol pagar, fa la scozzese,
ma riempie la serata d’allegria.
Intanto lo spettacolo s’avvia.
Al suono di una musica incantata
sulla pedana tutta illuminata:
stelle d’argento, nuvole, campane,
le melodie di canti familiari,
folcroristiche danze sotto i fari;

il canto melodioso del solista;
il ballo spensierato da rivista
e i cori, così amabili e struggenti
da sembrare melodici lamenti.
Avvolti in una simile atmosfera
forse scoprimmo la Russia più vera
nei gesti degli atletici balletti,
negli zuavi rossi, nei giacchetti,
e nei graziosi passi delle Russe
le cui bellezze non eran discusse.
E dopo aver provato l’emozione
di donne senza gonne a pantalone,
colpiti dalla grazia di Cicciornia
alcuni quasi son finiti in sbornia.

Per quanto breve, e questo fu il peccato,
lo spettacolo ci ha rigenerato,
e fummo pronti al termine, a sorpresa,
di ballo ad una autonoma ripresa.

Il camperista ha un sogno nel cassetto:
partecipare a qualunque balletto,
sia esso il liscio o il sudamericano;
nel ballo, a volte, un poco di baccano
serve per compattar la compagnia:
“chi non partecipa è un ladro o una spia”.
Anch’io per questo fui chiamato al ballo,
e tacqui del dolor che avevo a un callo.
Bella serata, tanta commozione,
ma ancora ci mancava una canzone.
Il complessino intona “L’Italiano”
quindi fa una canzon di Celentano.
La pronuncia è stentata, ma l’effetto
porta ogni gradimento sopra il tetto.

E in coro i camperisti tutti quanti
cantando fanno applausi da giganti.
Preme all’esterno gente e fa barriera;
adesso tocca ai Russi la balera,
per noi turisti è l’ora del ritorno,
ancora che aspettiamo viene giorno.
Buona notte al Troika ristorante,
buona notte al turista itinerante
e buona notte a voi, Perri e Pepita
che oggi avete avuto un’altra vita.
E per risposta invece di abbaiare
i due cominciano a scodinzolare
e nell’attesa che schiarisca il dì
vanno nel prato a fare la pipì.

11 Agosto, LA FORTEZZA DEI SANTI SS.PIETRO E PAOLO, S. ISACCO, BATTELLO, PONTI

Anche stamani, dopo colazione,
si va col pullman in ricognizione.
La meta è una fortezza rinomata
ai santi Pietro e Paolo dedicata.
Vi sono Porta, Zecca e Cattedrale
eretta in forma non tradizionale,

con Gesù Cristo vestito da Zar
e le tombe dei grandi da ammirar.
L’interno della chiesa fa impressione:
grande scenografia, ma senza icone;
in alto i capitelli son dorati
sorretti da violacei colonnati
il tutto misto a verde, giallo e bianco…
di contare i colori non mi stanco.

Dopo il consueto indugiare curioso
sentiamo il desiderio di un riposo.
Nei corridoi le foto dei parenti
che dei defunti Zar son discendenti.
Ed all’uscita un coro di ferventi
cantori sacri di ortodossi eventi
regalano una musica solenne
a chi fin lì sia giunto quasi indenne.
La voce principale è un’emozione
da far accapponare anche un pavone.
Sull’isola i bastioni dell’orrore:
vi imprigionaron uomini d’onore,
di Trotskij e Dostoevskij la tortura
ancor riecheggia fra le antiche mura.

Superiamo la porta della morte
così chiamata per l’estrema sorte
spettante a oltrepassanti prigionieri,
oggi un ricordo, ma è storia di ieri.
Oltre la porta, a destra, sulla Neva,
una foto di gruppo, e si scorgeva,
sopra il molo dell’isola, la Pina
danzare con perizia sopraffina,
coinvolgendo alcuni dei presenti,
felici di seguirne i movimenti.
Le targhe coi livelli delle piene,
quando la Neva l’acque non trattiene,
sono l’ultima immagine lasciata;
a Sant’Isacco a piedi la fermata.

I quattro colonnati posti a lato
di quell’ineguagliabile quadrato,
con le colonne di rosso granito
che navi finlandesi hanno fornito,
i quattro campanili e il cupolone
compongono l’esterna costruzione.

Eriger su terreno paludoso
la cattedrale è assai avventuroso,
ma utilizzando tronchi accatastati
per far da base, tutti allineati,
mille difficoltà son superate
per sostener le tante tonnellate.
In un interno ancor più sorprendente
i camperisti, in mezzo a tanta gente,
poterono osservare nella volta
la Vergine che in gloria venne accolta.

Accanto alla figura illuminata
con veste rossa dentro la vetrata
rappresentante la resurrezione,
stanno le più pregiate delle icone,
in pezzi di mosaico incastonate
per essere nel tempo conservate.

Passato lo stupore e il godimento
d’essere stati parte dell’evento,
ci tocca risalir fino all’estremo;
intorno al cupolon, cosa vedremo?
A chiocciola la scala per salire,
fu lunga più da fare che da dire,
e il povero turista itinerante
aveva assunto un volto da implorante
mentre dalla spirale al quarto piano
temeva d’esser sempre più lontano
di chi l’aveva appena preceduto
nella salita a forma di un imbuto.
All’ultimo gradino, che sorpresa:
la scala in ferro nel vuoto sospesa!
Ma, anche contro ogni previsione,
tutti siam giunti al fin nel cornicione.
Protetti dalla cupola dorata,
sorretta da una rosea colonnata,
tuffiam lo sguardo fino all’infinito
in un cielo di nuvole gremito.
San Pietroburgo ancora ci ha incantato
fino alla guglia dell’ammiragliato.

Spostando la visuale giù nel basso
il palazzo Marinskij è lì ad un passo
oltre la verde piazza: da principio
è di San Pietroburgo il municipio.

 L’incantesimo è grande, ma qualcuno
pensa di fare concorrenza all’Uno
ed esordisce in questa sua tenzone
in foto con tre Russe, da campione!

Mentre ascoltiamo musica ritmata
ormai finisce questa mattinata;
sta per venirci l’acquolina in bocca
il campanile l’ora tarda scocca.
Ultimo sguardo a un poetico prato
da grande statua in pietra salutato.

Ci attende la discesa a chiocciolone,
giù giù fichè arriviamo nell’androne;
turismo itinerante è anche questo:
giungere fino in fondo tutto pesto.
Tornati nella piazza questa volta
a tutti vien concessa “briglia sciolta
per il pranzo frugale di un’oretta,
per ritrovarci poi con tutta fretta.
Tutti i berretti blu si sono sparsi
in ogni strada, per ricompattarsi
dopo aver onorato l’esigenza
di non restar di cibo proprio senza.
Così, per affrettare il proprio istinto
io credo che ciascuno si sia spinto
dove vi fosse pronto un buon panino
da gustare con calma, lì vicino.
Nel mio equipaggio avevo da saziare
il figlio che non ama digiunare,
e hamburger, patatine e coca cola
san soddisfare alquanto la sua gola.

Così, mentre la moglie è reticente,
faccio colui che tace ma acconsente
e nel Mac Donald tutti a far la coda:
la globalizzazione è ormai di moda.
Seduti sull’esterno ad aspettare
che la moglie ci porti da mangiare,
una brutta notizia ci raggiunge
una di quelle che di rabbia punge:
quarantasei, truffato senza scampo,
ha perduto ogni cosa in un sol lampo.
Uno dei lì presenti lestofanti
sega la catenella, ed i contanti
col portafoglio e tutti i documenti
gli porta via, lasciandoci sgomenti.
Per fortuna gli resta il cellulare;
per ora viene usato per chiamare
chi in russo possa fare la denuncia.
Intanto d’ogni cibo fa rinuncia.
Per questa volta anche il nostro pasto
sull’orlo dello stomaco è rimasto.

 Non resta che guardare esterrefatti
altri ladri rubar dai nostri piatti.

Turismo itinerante è sopportare
quella ragion che non ti fa mangiare.
Al punto di ritrovo ritornati
i nostri amici furono informati
di come facil sia da queste parti
senza saperlo esser derubarti.
E qui fu di ciascuno il raccontare
che cosa ci potesse capitare.
Nicola primo con il suo destriero
poggiato su due zampe “non par vero”
presso di noi s’ergeva in monumento,
tutti ne fummo attratti in un momento.
Fede, saggezza, giustizia e potere
sono virtù che deve possedere
lo zar che voglia bene alla famiglia
rappresentate da consorte e figlia.

Non c’è tempo per altre spiegazioni,
nel programma vi sono altre emozioni:
andare in una zona più lontana
nella San Pietroburgo “veneziana”.
Così giungiamo tutti ad un battello.
Sedici a nove “Il tempo sarà bello?”
“Stiamo tranquilli, non v’è da temere,
anche se siam tra le nuvole nere,
tempo bizzarro, sì, con poco vento,
ma l’odor della pioggia non lo sento”.
Rinfrancati si prende posizione:
chi sul ponte fornito di timone,
chi giù in coperta preferisce stare
vicino alla finestra ad ammirare.

E scivolando lenti sotto i ponti
della guida ascoltiam tutti i racconti;
scopriamo la poesia di quel canale
che scorre tra i palazzi come un viale
ed ai suoi lati la città che vive
con le barche appoggiate alle derive

Più in là scorgiamo le guglie dorate
che dai bastioni sono circondate:
San Pietro e Paolo, la vecchia fortezza;
sale dal fiume una leggera brezza.

A questo punto con il dondolio
mi sento trasferire nell’oblio;
appoggio su d’un gomito la faccia
e di Morfeo mi stendo fra le braccia.
M’han detto poi che il giro nel battello
tutto sommato è stato molto bello.
Mentre sto sonnecchiando come un ghiro
uno scossone mi ridà respiro.

Siamo arrivati, davvero un peccato
se mezzo di quel giro l’ho sognato.
In verità quella mia assenza diurna
servirà per la visita notturna.
Si torna nelle case a quattro ruote,
per cena le dispense sembran vuote,
ma un tonno coi piselli si rimedia;
poi ci si pone fuori con la sedia,
e qualcuno si fa una chiacchierata
nell’attesa che giunga la nottata

La luna in cielo ha fatto capolino
e dopo un bicchierino di buon vino
rinfrescati, lavati e pettinati
fino alla Neva siamo ritornati.
L’attesa sulla sponda è da suspance,
qualcuno alle fanciulle fa le avances:
nel buio della notte c’è la luna
che ne illumina i volti ad una ad una.
Il ponte illuminato non si muove,
il vento è lieve, fortuna non piove.
All’improvviso applausi e acclamazione:
il grande meccanismo è già in azione,
e lentamente il fascio illuminato
che avvolge il ponte, s’apre su di un lato
e spezzato s’innalza piano piano
applaudito e mirato da lontano.

E qui anche il turista itinerante
comprende che l’evento è importante
e osserva con stupita ammirazione
i ponti che stan su in elevazione.
Tra un ponte e l’altro brilla la città
che appare in una insolita realtà,
mostrando sotto lampade lucenti
i volti dei palazzi risplendenti,
poggiati dentro l’acqua dei canali
che ne fanno riflessi senza eguali.

Sul pullman, quasi tutti addormentati,
si torna ai propri camper rilassati…
Perri e Pepita non vogliono uscire
quella per loro è l’ora di dormire;
con le zampe all’insù, sopra il piumino
forse sognano un loro “pensierino”

12 Agosto, IL LUOGO DELLA SOSTA, GITA IN BICICLETTA

E’ un giorno nuovo, nuova situazione.
anche la rima vien modificata
di questa strana mia composizione,
e da baciata diviene alternata.
Oggi giorno speciale: libertà,
di andar coi propri mezzi o in compagnia
dove si voglia, dentro la città…
tre biciclette in attesa del “Via!”
Ma prima d’iniziare l’escursione,
portammo i due cagnetti a far pipì,
facemmo docce, e dopo colazione,
guardammo tutto ciò che stava lì.
I camper sono ben allineati,
i camperisti hanno spazio esiguo,
nel mezzo si sistemano i bucati,
la luce è erogata in modo ambiguo.
A sinistra un sentiero vien da fuori,
costeggia un largo e immobile canale
che un tempo forse era dei migliori
per olimpiche gare da Abbagnale.
Una strada si snoda fra le erbacce,
più in là v’è un tennis, si gioca a pallone,
pensiamo d’esser proprio sulle tracce
lasciate lì da olimpico campione.
C’è poi uno strano gioco complicato
ove s’alternano vecchi giocatori:
lanciando qualche cosa su un selciato
provocano incontenibili rumori.
La mia curiosità non ha confine,
ma questa volta non feci attenzione
a come quel bel gioco avesse fine
e chi ne fosse al termine il campione.
Sul ponticello alcuni pescatori
facevan fare il bagno al vermicello
stando in paziente attesa, là di fuori
senza badar se il tempo fosse bello.

Mi chiedevo se fosser boccaloni
quei pesci boccheggianti in acqua morta
piuttosto che quei russi sonnacchioni
quasi tutti di prede senza scorta.
Al limite del campo della sosta
un cespuglietto verde con paletto
sembrava fosse stato messo apposta
perché il Perri facesse il bisognetto;
il camper di Simona era lì accanto
con la dolce gattina sguinzagliata:
osservammo quei due come d’incanto
farsi la posta e darsi una sguardata.

Incontro anche la professoressa;
ci scambiamo simpatiche opinioni;
comprendo che si trova un po’ perplessa
nel valutare certe situazioni:
il fatto che l’omino “trita pelo”
tenga per sé gli orari dei programmi
tacendo con gran scrupolo e con zelo,
(forse dentro di sé ha troppi drammi)
a chiunque gli faccia una domanda,
“sarà forse sua maleducazione?
o forse è necessario che La Granda
instauri qui una manifestazione?”.
Proprio sul bello della chiacchierata
Perri e Pepita rompono i discorsi:
prodigandosi in scodinzolata
per la carezza iniziano a proporsi.
A questo punto la professoressa
presa da un’improvvisa tenerezza,
dimenticando d’essere perplessa,
concesse l’attesissima carezza.
Subito dopo anche il professore,
la giornalista con il suo consorte,
il genovese ed altre due signore
ai due cagnetti fecero la corte.

Giunse l’ora del nostro separarci:
la maggior parte ancora accompagnati,
noi con le bici a disimpegnarci,
sperando di non essere bagnati,
nel traffico di quella gran città
seguendo una cirillica cartina
da mostrar solo se in difficoltà.

Ma in mano avevamo la piantina
circostanziata, e scritta per intero
in nostra amata lingua nazionale;
fui fiero d’esser “Italiano vero”
in quei momenti non sembrò banale

Purtroppo a quella visita speciale
pensammo che portare insieme a noi
anche un solo minuscolo animale
sarebbe stato un incubo del poi.
Accovacciati in unico cestino
Perri e Pepita stanno in compagnia
stretti stretti si godono il caldino,
aspettando che qualcuno faccia spia.

Oltre il ponte ove stanno i pescatori
col vermicel, già prima ricordati,
lungo la strada una caserma, e fuori
marciano in fila dodici soldati;
portano insieme un letto sgangherato
senza lenzuola e senza materasso,
con il solito ritmo cadenzato;
avanti a tutti quello che dà il passo.
Mi sembrava una strana processione,
o forse, poiché vengo da lontano,
pensai che fosse un’esercitazione
d’una pattuglia un poco fuori mano.
Nel mezzo della via c’è un cane enorme
che abbaia ad altri cani più piccini:
è il capobranco, ed al can che non dorme
hanno insegnato di non star vicini,
e l’equipaggio, pedalando lesto
seguì l’insegnamento a perfezione,
in quanto il cane era proprio desto.
Oltre il canale v’era già il bastione
della Fortezza sopra menzionata,
dove mi hanno messo in posizione
per una foto presso l’inferriata.

Ci ferma una turista, ed emettendo
suoni in russo, slovacco od ostrogoto,
(confesso non mi stavo divertendo
scoprendo il mio sapere così vuoto),
domanda a gesti se sappiamo ancora
d’una nave famosa lì ancorata.
“La cartina in cirillico, signora,
è la sola risposta un po’ assennata”.
La richiedente venne soddisfatta;
a noi l’impegno di andare a scoprire
quale importanza avea nave siffatta,
paragrafo del Touring, sta a sentire:
l’Aurora fu la prima nave amica
per i terremotati siciliani:
da quei dintorni, in men che non si dica,
con l’intero equipaggio diè le mani;
oltre a questo, alla Rivoluzione
più importante d’ottobre diede il via,
sparando il primo colpo di cannone…,
una storia di guerra e di poesia.

Terminato il minuto del sapere
tra cannoni a riposo ed altre armi
la contraerea ha posto da sedere
e per fortuna non ci sono allarmi.

Fra così tanti e forti sentimenti
prima di andar sul ponte a pedalare
trascinati dal ritmo degli eventi
in una foto ci lasciamo andare.

La strada spesso da’ delle sorprese:
il pullman con la dedica a Togliatti
ci fa restar con le pupille tese
e ci fa rammentare i nostri fatti.

Più avanti i luoghi del Penitenziario
che non riconoscemmo lì al momento,
lo dico per dover di questo diario,
ci parvero un grandioso monumento.

Nella sosta, Andrea guarda passare
la “bella della strada”, e mi confessa
d’essersi messo ieri a chiacchierare
con una tipa che fa vita stessa,
e aver capito, come non si sa,
che la professionista di quartiere
non così facilmente te la dà,
ma possiede un depliant del suo mestiere
per la scelta del tipo di servizio;
prima di dare, se è davvero esperta,
vuole almeno trovare qualche indizio
e render più efficace la sua offerta.

Allibisco, mi sento d’altri tempi,
l’amore non si vende, si conquista
al diavolo la lista degli esempi!
E Andrea con noi riprende la sua pista.
Per dare più efficacia alla lezione
andiamo su una piazza a quel convento,
simbolo di virtù e di redenzione,
che Elisabetta, zar di quel momento,
ha fatto progettar per educare
giovani nobildonne e signorine,
perché avesser col tempo ad imparare
belle maniere e portamento fine.
Il convento di Smolnyj azzurro e bianco
con stile russo ed anche occidentale,
d’un barocco brillante, ma un po’ stanco,
oggi è adibito a sfoggio musicale.
Peccato che la parte più in altura:
le cupole con le tre bocce d’oro,
fosse coperta da un‘impalcatura
facendone disperdere il decoro.

In quella piazza la mia bicicletta
ha fatto colpo in più di una persona;
sfoggiando un italiano senza fretta
mi dissero che val più d’un’icona,
di quelle viste nelle iconostasi
quelle sontuose, che non hanno prezzo…
eran solo uno scherzo quelle frasi…
badammo a biciclette e a ciascun pezzo.
Giungiamo all’Hotel Mosca, avanti al quale
c’è il monastero di Alexander Nevskij,
che conserva all’interno, bene o male,
spoglie di personaggi e i loro teschi.
Venimmo qui a sapere, un po’ commossi
che in quel monastero stan sepolti
il Giacomo Quarenghi e il Carlo Rossi,
architetti italiani, che di molti
palazzi, visti in mezzo alla città,
furono artefici e progettatori.
Di quei palazzi l’itala beltà
Sta nella scelta arguta dei colori.
La costruzione color bianco e rosso
specchia il suo fianco dentro al canaletto

peccato che il canale non sia mosso,
la maleducazione è un gran difetto!

Turismo itinerante è constatare
quanto le affinità abitudinarie
dei popoli che andiamo ad incontrare
non siano poi tra loro tanto varie.
Dietro l’angolo di quel monastero
ci si presenta ancora una sorpresa:
un auto sconquassata, onor del vero,
sta lì nascosta, come fosse offesa

E’ meglio abbandonare il luogo ameno
e pedalare ai bordi dei canali
tenendo sempre pronto il proprio freno.
A un certo punto, in uno di quei viali
ci troviamo sul “set”, senza volerlo,
di un drammatico film, proprio al momento
(l’emozione era in gola nel vederlo),
in cui stava in azione lo strumento
utilizzato per il disinnesco
di qualche ordigno o bomba da attentato.
Forse m’han detto “se sei lì stai fresco!”
e subito mi sono allontanato.
Turismo itinerante è non capire
la lingua incomprensibile degli altri,
ma esser pronti subito a fuggire:
anche se poco furbi, essere scaltri.
Così giungiamo al “ponte della banca”
con i leoni dalle ali d’oro.
Poniam le bici a fianco di una panca,
filmando pensiam già ad un ristoro.
E’ qui che, con la sua “faccia di tolla”
Andrea “circonveisce” una signora,
e con l’aria di chi proprio non molla
fa una foto che dura quasi un’ora,
quindi pretende che le due figliole,
ritratte con la mamma sopra il ponte,
si pongan sul suo fianco, dove vuole:
richiesto, li fotografo di fronte.

 E questo è un punto in più nella tenzone
che vede pareggiare in quegli istanti
numero Uno e il futuro campione.
Meglio non commentar, tiriamo avanti!
La Prospettiva Nevskij in bicicletta
non è certo la cosa più prudente,
meglio un parcheggio escogitato in fretta
e proseguir tra tutta quella gente.
Spettacolare, affollata e famosa,
la grande strada affascina il turista;
si fa lo shopping, ci si mette in posa
per una foto, certo non da artista,
e tra una cosa e l’altra ci si siede
presso il solito global tavolino,
forse per dare più riposo al piede
che consumare un semplice spuntino.
Le bici son comunque ben legate,
strette tra loro e poste bene in vista.
Andrea ed io lanciamo alcune occhiate
alle ragazze russe da rivista;
Ludovica ci manda le bordate.
Così lustrati bene entrambi gli occhi
riprendemmo ciascun la nostra bici,
dimenticammo di esser stati sciocchi
e via per ritrovare i nostri amici.
Sulla via del ritorno la facciata
d’un gran palazzo, con due tipi appesi;
ci parve una simpatica trovata
mentre raschiavan li abbiamo ripresi.

Il rientro fu breve, con amore
aprimmo il camper con circospezione;
i cagnetti, sorpresi dal rumore
scodinzolarono per l’emozione,
poi come frecce al loro posticino
si diressero educatamente,
ciascuno fece il proprio bisognino
fino a capir che non c’era più niente.
Questa volta per loro è grande festa.
Dopo le docce e d’aver riposato,
constatando che l’ora era ancor presta,
e poiché avevamo ancora fiato,
decidemmo di prendere i guinzagli
e portare anche loro in bicicletta
attenti che la zampa non s’incagli
dentro al cestino, nella rete stretta.
Oggi non son finite le sorprese,
andiam ben oltre il limite preposto
e raggiungiamo il mare finlandese,
che volevam vedere ad ogni costo

Lungo quel sentierino, in mezzo ai prati,
i cagnetti seguivano le ruote,
saltellando felici e certo grati
di percorrere strade così vuote.
Vedemmo i pescatori sul canale,
lo sci acrobatico d’uno specialista,
pattinatori a ruote per il viale.
Dentro nel bosco, per un’altra pista
siam giunti nel laghetto dell’amore,
ove Cupido usa la faretra.
Ai lati stavano vecchie signore
sedute sulle scalinate in pietra,
presso il tempietto coppie innamorate
attendevano il lancio della freccia,
e certo alcune furon folgorate.

Una ragazza aperse la sua treccia
restando stretta presso il fidanzato
mirando i cigni e tante paperette
che scivolavan nel lago incantato.
Dovevamo tornar, eran le sette.

Al campo base v’era confusione:
eran rientrati i pullman degli amici.
I cani erano pieni di emozione,
depositammo lì le nostre bici.
Nove faceva al camper il bagnetto
dopo d’averlo tutto insaponato
“scusa, ti posso metter nel filmetto?”
e, detto fatto, venne immortalato.


Altri intanto scambiavano opinioni
sui costi della vodka e del caviale:
braccia conserte o dentro i pantaloni,
un raffreddore e un gesto assai normale.

Sul tavolino posto bene in vista
la prima vodka fu distribuita,
mentre si preparava un’altra lista
per altra vodka ancor più preferita.

Intanto rimbalzavano commenti
sui fatti della libera giornata;
venivan ricordati quei momenti
speciali d’una lunga passeggiata.
All’improvviso un rombo di motore
i camperisti fece sobbalzare:
qui il “tour operator” con onore
presentò la sua auto secolare.

Le giovani facevano gruppetto
scambiandosi segreti ed emozioni,
due ragazzi giocavano a calcetto,
gli altri erano spesso dormiglioni.
Dopo la cena in camper consumata
un ultimo ritrovo a centro campo
per preparar la prossima giornata,
osservando nel ciel l’ultimo lampo.

Ai guardiani, con gesto solidale,
bicchierini di grappa a tutto spiano
capaci di riempire e di far male.
Inutile pregarli di far piano,
“che non è vodka, e che un sol bicchierino
può dare un comportamento strano,
ancor più triste che un bicchier di vino,
a chi senza volerlo ne approfitti”.
Malgrado ogni raccomandazione,
finirono così, con occhi dritti
senza bene capir la situazione.

13 Agosto, PETERHOF, TSARKOE SELO

Il mattino seguente, di buon ora
suonò la sveglia nell’”accampamento”.
Ed ecco verdi e gialli pronti ancora
tutti insieme per il trasferimento.
A Peterhof la prima colazione;
sosta idraulica quasi comandata;
un minuetto ci dà l’emozione
mentre attendiamo, prima dell’entrata.

E finalmente tutti oltre la sbarra
a rimirar le statue e le fontane,
e l’acqua, con quel suono da chitarra
che vola nelle zone più lontane.

Tra i giardini all’inglese e alla francese
ed il tardo-barocco del Rastrelli
l’idea di Pietro il Grande forma prese:
Peterhof è un complesso fra i più belli.
Di statue e di fontane ve n’è tante
ma menzionarle tutte non ha senso;
tutte dorate: quella più importante
è la cascata, uno scenario immenso.

La Granda si raccolse ad ascoltare
la storia delle bronzee statue d’oro
e osservò i getti d’acqua zampillare
con cadenza ritmata da ogni foro

Quell’acqua è convogliata in un canale
che, a perdita d’occhio, si riversa
passando sotto un ponte e sotto un viale
fino al mar di Finlandia, ed è dispersa
con perizia in altre direzioni,
altre fontane va ad alimentare:
di Adamo, d’Eva, e quella dei leoni;
passa La Granda, fatevi ammirare!
La tartaruga d’oro che sputacchia
un getto d’acqua dritto verso l’alto
suscita ilarità, e si ridacchia
vedendo lo zampillo fare il salto.

Passeggiando giungiamo fino al mare
ciascuno si è portato il proprio pranzo
e La Granda si va ad accomodare
sui sassi, ove non lascia alcun avanzo.

Non avendo portato il desinare
c’è chi approfitta d’un nuovo sorriso,
per ricordo si fa fotografare
romanticamente viso a viso.

Uno scoiattolino fa la posta
di fianco al viale ci guarda passare
come se fosse stato messo apposta
a sentir noi che stiamo a conversare.
Quella facciata esterna bianca e azzurra
barocca e riccamente decorata,
come in favola antica ci sussurra
la storia di una fata innamorata.
Decorazioni poste sull’esterno
con pilastri, colonne ed atlanti
ci fanno immaginare se d’inverno
siano tutte di neve sfavillanti.

Tsarkoe Selo è palazzo sì sfarzoso
che descriver gli interni è un’utopia,
in questa sede sarebbe noioso
più facile con la “fotografia”.
E fotografi e cineoperatori
ne abbiamo tanti in seno al nostro gruppo
che ritrassero stanze con decori:
ne avremo poi comunque lo sviluppo.
E tra i metodi di ripresa usati,
quello che più mi parve originale
fu stare sulle spalle accomodati
per l’immagine ancora più speciale.

Sale da pranzo e tavole imbandite,
specchi, intagli dorati nel soffitto,
pareti d’ambra tutte rivestite
v’è molto più di ciò che ora ho scritto.
Dopo tanto vagare si va fuori
ci si siede per terra, sul gradino,
un massaggio di piedi con dolori
e si sorbisce un fresco gelatino

Mentre ancor l’Uno sta tra quelle sale
completando la caccia ai souvenirs,
Andrea, con mossa sempre “tale e quale”
si procura una Russa da svenir.

Si dà così l’addio a Tsarkoe Selo
ormai siamo nell’ora del ritorno.
Che successe sul pullman non vi svelo,
ricordo solo che, a me d’intorno,
s’era fatto un silenzio sepolcrale.

Mentre la moglie dorme lì vicina,
il Sei dietro la lente dell’occhiale
aveva un’espressione “birichina”.

 Addormentati e stanchi, ma contenti,
giunti alla base proprio all’imbrunire,
tra i camper si consumano i commenti,
ma in breve siamo già tutti a dormire.


14 Agosto, NUOVO GIRO IN BICICLETTA, L'ATTESA AL CAMPO BASE

La proposta di andare, chi volesse,
verso il centro città e nei paraggi,
anche se in pullman, e non con il calesse,
provocò approvazione, e molti ingaggi.
Mentre alcuni la libera giornata
preparavano a loro piacimento,
gli altri, formata un’allegra brigata,
eran nel pullman già in movimento.
Usare adesso la baciata rima
diviene opportuno più di prima,
a questo punto del mio russo diario
lasciar rime alternate è necessario.
Decidiamo la gita in bicicletta
sicuri che andando un po’ più in fretta
avremmo avuto molte più occasioni
di fare nostre tutte le emozioni.
Così siam pronti in men che non si dica.
La “giornalista” e la Ludovica
studiano a fondo i luoghi del percorso
sulle planimetrie dell’anno scorso;
la ricerca si svolge “in parallelo”
e nasce un’amicizia “a primo pelo”.

Michele si sistema il portapacchi
con i tiranti perché non si stacchi.
Andrea gonfia le ruote e assesta il freno,
Giovanni osserva dal suo mezzo ameno.

Di lì a poco il gruppo di ciclisti,
formato in tutto da sei camperisti,
in fila indiana scorre lungo il viale
ove il cane che abbaia non assale.
Il nostro giro non ha gran pretesa,
prima di far la sosta e fare spesa
contiamo di portarci in pieno centro
a scoprire la vita che sta dentro.
Una sosta sul ponte della Neva
per una foto che ci apparteneva.

Verso la Prospettiva, nel mercato,
poi alla Chiesa del Sangue versato;
lì Giovanni, guardiano delle bici,
assistette a una rissa tra nemici,
a suon di botte, e uno fu un ferito
mentre l’altro, in un attimo svanito,
è rintracciato dalla polizia
che l’ammanetta e se lo porta via.
Quella pericolosa eccitazione
provoca una strana compassione
per tre ragazze sole ed impaurite,
trovatesi nel mezzo della lite.
Andrea, travolto da quel sentimento,
chiese alle tre ragazze un chiarimento,
e poco dopo, bando all’ironia,
foto con tre ragazze in compagnia

Le nostre bici sono molto ambite,
a turno le teniamo custodite.
Da un turista Italiano la richiesta:
“a pagamento qui qualcun la presta”?
e la nostra risposta fa sorpresa;
sapere che non qui l’abbiamo presa
stupisce il nostro interlocutore
e riempie noi di fiero buon umore.
Capimmo allora che sei biciclette
così eleganti e così perfette,
disposte in fila al centro della piazza
erano oggetto di un’idea un po’ pazza:
davanti all’Hermitage fare l’impresa
d’una parata piccola a sorpresa.
Gianni dispose quindi l’autoscatto
e dei ciclisti fece un sol ritratto.
Anche questo ricordo esilarante
è un regalo al turista itinerante.

Peccato, dopo la fotografia
è giunta già l’ora di andare via,
ma in quella piazza così maestosa
farem domani una ben altra cosa.
Pei grandi magazzini la partenza.
Alle signore va la precedenza
d’una visita fatta adagio adagio,
solo per ritrovarsi a proprio agio.

Giovanni lascua qui la compagnia,
ora da solo deve andare via,
in camper ha la moglie infortunata
e per il pranzo occorre sia aiutata.
Michele ed io, vicino a una panchina
si parla e si dà una sbirciatina
ogni tanto alle nostre biciclette.

Nel frattempo Andrea, preso alle strette,
si accontenta di stare sotto l’ala
d’una ragazza d’oro, in una sala
coperta da frangette un poco “mini”
all’entrata dei grandi magazzini…

Le due signore sono ritornate,
ripercorriamo a grandi pedalate
la salita del ponte sulla Neva,
e al termine del ponte si vedeva
trotterellare una sposa da sballo
su un aitante intrepido cavallo.
Dico ad Andrea, “questa è l’occasione
per fare una foto da campione!”
Non l’avessi mai detto, s’eclissò
lasciandoci ad attendere un bel po’.
Il risultato fu comunque onesto,
e a tutti quanti parve solo questo:
quella gentile dama e il cavallino
sembravano la sposa e il maritino.

C’era però qualcosa di nascosto
nel ritorno di Andrea al proprio posto:
perché fu così lungo il suo ritardo?
Alla sua digitale do uno sguardo,
vedo altre nuove foto nel quadrante,
compresi: con pazienza quel brigante

s’era fatto ritrarre ben due volte,
due foto con due Russe disinvolte.
Dovetti anche subire i complimenti
sinceri e divertiti dei presenti.

L’ora del pranzo ormai l’abbiam perduta
torniam per una strada conosciuta.
Due stecche di pregiate sigarette
e pedalando sulle biciclette
ripercorriamo ancor quel ponticello
con pescator e nuovo vermicello.
Giunti alla base tocca ai due cagnetti
accontentarsi degli attesi affetti;
ma questa volta ce ne sono tanti,
anche le bimbe si son fatte avanti
per prestare le coccole più vecchie…
Perri le accetta e solleva le orecchie.
Addio, bella giornata in compagnia,
è stato bello andare per la via
a fare insieme quattro pedalate
e insieme più che quattro chiacchierate.
Ora c’è da pensare all’indomani.

Fatta la doccia e lavate le mani,
e consumato il “pranzo della sera”
ci rituffiamo dentro l’atmosfera
di entusiasmi e di contestazioni
come capita spesso alle riunioni.
In verità prevale l’ottimismo.
E’ risaputo che questo “turismo”
ha bisogno di un po’ di comprensione
perché tra tutti vi sia coesione.
Non sian l’orario, o il mancato avviso,
o il cambio di programma all’improvviso
motivi per crear della tensione;
siamo tutti in un unico barcone
e dato che siam tutti della “Granda”
suoniamo come fossimo una banda:
ogni strumento faccia il suo dovere
e tutti scopriremo che è un piacere.
E di piacere ne troviamo tanto
versando la “nutella” con il guanto,
prima di allontanare un po’ il lenzuolo
e coricarsi nel proprio crogiuolo.

15 Agosto, L'IMPRESA ALL'ERMITAGE E PER LE VIE DI SAN PIETROBURGO

Levata alle cinque del mattino.
Quindici a Nove “Sarò indovino,
oggi diluvierà per tutto il giorno.”
Nove “Tu proprio non capisci un corno,
dopo rimbombi con pioggia impazzita
vedrete una bellissima schiarita.”
“Sarà”, diceva il Ventitre sommesso,
“ma per fortuna io non ho scommesso”.
In realtà la cosa si fa seria,
mentre si manifesta l’intemperia
ci disponiamo tutti allineati
per numeri crescenti incolonnati.
“Deve giungere qui la polizia
prima di allora non darò il via”
Uno ripete a tutti le istruzioni:
“speriam che oggi tutto qui funzioni”.
Ecco, ci siamo, c’è la polizia,
si sposta già l’intera compagnia.
Ci scorta una vettura sul davanti,
una in centro, una dietro a tutti quanti.
Quarantadue ha la ruota gemellata
ed una pietra le si è incastrata;
Ventiquattro fa sfoggio di esperienza:
con il crik gliela fa tornare senza.
E’ ferragosto, un’acqua torrenziale
si rovescia davanti a ogni fanale.
Nel silenzio dell’alba il serpentone
attraversa le vie d’ogni rione;
con precedenza su ogni altro autista.

S’avanza la colonna camperista;
traversa ponti, piazze, vie, contrade,
s’insinua dentro i vicoli e le strade,
ma la sua corsa sembra deviare
rispetto al luogo dove deve andare.
Uno a colonna “qui non si capisce;
come mai questa corsa non finisce
all’Hermitage, come concordato?
Forse la polizia se l’è scordato,
ormai qui siamo già in periferia,
io l’abbandono, la lascio andar via
e mi fermo in attesa d’istruzione.”
I poliziotti vedon confusione,
ritornati riprendon posizione,
e all’Uno che ad andare non si mette
mostrano con furore le manette.
Sta per crollare qui la situazione,
si fa un appello all’Organizzazione.
L’omino dal capello inricciolito
accogliendo quel disperato invito,
manda la Olga, pronta a contrattare
per una soluzione regolare.
Olga sotto il diluvio è incamminata,
a metà per fortuna è accompagnata
dai poliziotti nell’auto centrale
che la conducon fino al fondo viale
Di quella discussione non so niente,
ma so che il poliziotto renitente
si rimise a guidare le casette
verso la meta, ed eran già le sette.

Con quella pioggia da disperazione
giungiamo all’Hermitage con emozione.
Dall’Arco di Trionfo son ripresi
i camper con i fari tutti accesi:
“questa è un’altra gloria
che della Granda passerà alla storia!”

La polizia adesso sta in disparte,
forse pensando che anche questa è arte,
anzi, vedendoli troppo a noi vicini
fa sloggiare anche tutti i netturbini
Il Casarin intanto con coraggio
fotografa l’intero paesaggio
da un tetto sotto all’Ammiragliato,
dall’Ammiraglio stesso accompagnato.


E’ l’ora del tripudio, si fa festa,
anche la più piccina si ridesta,
e quasi a farlo apposta, sul più bello
cessa la pioggia e vien chiuso l’ombrello.
Anche stavolta Nove ha detto il vero,
lontano c’è uno squarcio in mezzo al nero,
l’azzurro ci raggiunge con ritardo
ma è per dare luce allo stendardo.

Qualche minuto ancora per la gloria
di questa nuova italica vittoria,
i camper sono ancora addormentati
noi siam felici, anche se bagnati.

Quarantaquatto camper compattati
anche sull’Ermitage si son fermati,
e ciascuno di noi, nel dire addio
può ripetere forte “c’ero anch’io!”.
Mentre la luna appare su nel cielo
sbirciando tutto quanto dietro a un velo
e ci rammenta l’ora di partire
perché la notte già sta per finire,
vien l’ordine “rimettersi in sfilata
è tempo di formar la ritirata”.
Ancora un bicchierino di spumante
dà forza al turista itinerante
per dar l’ultimo sguardo ed andar via
sorseggiando con gioia e nostalgia.

La scorta ci fa strada nel ritorno,
e ci abbandona quando ormai il giorno
ripopola di Sanpietroburghini
le piazze ed i vialetti nei giardini.
Ripercorriamo ancor la “Prospettiva”
il ponte sulla Neva che saliva,
coi domatori di cavalli ai lati,
case e palazzi vengon rispecchiati
nel fiume che ci scorre sulla destra.
Sono le otto e ancor dalla finestra
seguiamo il serpentone che va via
fino a raggiunger la periferia.

Qui, presso il verde si fa la fermata
e La Granda rimane abbandonata
per tempo superiore alla pazienza.
A volte l’abbandono è un’esigenza:
se non se ne conosce la ragione
può crearsi spiacevol confusione

In quella sosta eravamo invitati
a rimanere presso i verdi prati,
a far correre i cani nei vialetti,
a rimandare i piccoli nei letti,
a far passare il tempo per tre ore
e a chiedere “partiamo?, per favore!”
Forse era meglio fare un riposino
dopo l’alzata di primo mattino.
Nel frattempo l’omino “strozza pelo”
ci preparava con paziente zelo
i conguagli di spesa e di gestione
da regolare alla conclusione;
peccato che nessuno ci credeva
mal sopportando il tempo che perdeva.
Finalmente con saggia decisione:
Uno a colonna, “in altra posizione
ci conviene più avanti parcheggiare
ove tutti potremo anche pranzare”.
Non s’aspettava altro in quel momento
subito fu sopito ogni commento.
Così a una stazione di servizio
oltre ai panini sanammo lo sfizio
di sorbirci un gelato con pazienza…
sempre aspettando a lungo la partenza.
Ed ecco che l’omino del capello,
mentre dormivo, proprio sul più bello,
lasciata l’auto da competizione,
giunge mostrando la sua dedizione….

In quella sosta eravamo invitati
a rimanere presso i verdi prati,
a far correre i cani nei vialetti,
a rimandare i piccoli nei letti,
a far passare il tempo per tre ore
e a chiedere “partiamo?, per favore!”
Forse era meglio fare un riposino
dopo l’alzata di primo mattino.
Nel frattempo l’omino “strozza pelo”
ci preparava con paziente zelo
i conguagli di spesa e di gestione
da regolare alla conclusione;
peccato che nessuno ci credeva
mal sopportando il tempo che perdeva.
Finalmente con saggia decisione:
Uno a colonna, “in altra posizione
ci conviene più avanti parcheggiare
ove tutti potremo anche pranzare”.
Non s’aspettava altro in quel momento
subito fu sopito ogni commento.
Così a una stazione di servizio
oltre ai panini sanammo lo sfizio
di sorbirci un gelato con pazienza…
sempre aspettando a lungo la partenza.
Ed ecco che l’omino del capello,
mentre dormivo, proprio sul più bello,
lasciata l’auto da competizione,
giunge mostrando la sua dedizione….

Uno a colonna “è meglio proseguire;
quest’oggi a Pskov dovremo finire,
ci fermeremo solo per il pranzo
e avrem pochi chilometri d’avanzo”
Un semaforo è rosso, e la capretta
con un cane curioso e una vecchietta
osservano ogni nostro movimento
dal primo fino all’ultimo momento.
Lasciamo la gentile compagnia,
anche stavolta è l’ora di andar via.
A Psocov era tempo di cenare;
per il ritardo non potemmo andare
a visitare Cremlino e castello;
lo facemmo di notte. Suggestiva
era la cattedrale che svaniva
circondata dal buio delle mura
erette in una strada stretta e scura;
oltre l’angolo in fondo stava il fiume,
ai lati barcollava un solo lume
che rifletteva il suo fascio d’argento
di tanto in tanto, assecondando il vento.
E nella piazza tutta illuminata
i giovani al finir della serata
affollavano la paninoteca
prima di andare tutti in discoteca.
A noi bastava il “cinema Bianchini”
nei nostri camper fra coltri e cuscini.

16 Agosto, PSKOV

Cambiare ancora rime mi da fiato
per proseguire codesta avventura,
dalla rima baciata mi commiato
e mi accingo a quest’ultima stesura.
Ancora un po’ di Russia provinciale
dobbiamo ripercorrere domani,
con il solito traffico locale
con i sorpassi a destra e i “contromani”.
Con i tergicristallo in movimento
respingiamo la pioggia torrenziale;
di fare un pensierino non mi sento,
il baracchino ha flebile il segnale.
E dentro la terribile bufera
anche la previsione di “Bernacca”
che avremmo avuto sole alla frontiera
dentro il cb sembrò un muggir di vacca.
Finalmente giungiamo alla dogana
ci disponiamo tutti lì in disparte
in attesa che arrivi la “Befana”
a regalarci un: “dai che si parte!”

Quelle tre ore di burocrazia
furono ancor sorbite con pazienza
nessun di noi fu colto da pazzia,
solo perché di vino eravam senza.
Il doganiere ebbe comprensione
dei poveri turisti itineranti
e colto da improvvisa compassione
ad Uno suggerì di andare avanti
a disporsi già oltre, compattati,
nell’attesa che visti e documenti
fossero stati tutti controllati
e firmati dai suoi “luogotenenti”.
Sistemati così come previsto,
mentre la pioggia lenta si dirada,
nell’attesa ciascun del proprio visto,
si sta fuori dai camper sulla strada.

Mentre il sole si affaccia a mezzogiorno,
polarizza la nostra digitale
la dacia verde col recinto intorno
posta sul lato del bagnato viale.

Uno a colonna “saliamo in vettura
i controlli son stati completati,
adesso continuiamo l’avventura”.
Si parte ancora tutti allineati.
La frontiera polacca è ancor lontana,
e tutti abbiamo un certo languorino.
C’è sulla strada un suono di campana;
ci si ferma al primo paesino.
La sosta si rivela rilassante:
due barzellette, pranzo e penichella
tutto questo al turista itinerante
fa rammentare che la vita è bella.
Sistemata una vite di mansarda
dopo una pastasciutta con ragù
e un ultimo bicchiere di Bonarda
mi stendo in letto e non mi alzo più.
Le redini del nostro quattroruote
passano in mano della Ludovica
“vuolsi così colà ciò che si puote”
e la “casetta”, in men che non si dica,
al comando dell’Uno di partire,
si pone con stimata precisione
al suo settimo posto, per finire
con tutti gli altri in circolazione.
Intanto il Trentadue chiede soccorso,
rallenta, e la sua acqua va in pressione:
certo il chilometraggio che ha trascorso
era la causa della confusione.
Fatto sta che ha bisogno di una mano
ci si consulta con i baracchini;
quel che è certo è che deve andare piano
e ha bisogno di aiuti più vicini.
Quindici presta subito servizio;
Ventiquattro s’aggrega per il fatto
d’aver capito già dal primo indizio
l’origine precisa del misfatto.
Turismo itinerante è anche questo:
se qualcheduno nelle grane sta
trova sicuramente chi più presto
sa confermargli solidarietà.

Sull’autostrada restiamo quaranta
e procediamo con i fari accesi,
ormai la notte umida ci agguanta.
“Svoltare sulla destra, siamo intesi?
sveglia ragazzi che siamo arrivati
ancora pochi metri, sistemarsi,
abbiam la sauna, siamo fortunati”
e tutti per la cena a rinfrescarsi.
M’han detto che la sauna è fatiscente,
che il gabinetto non si può usare…
in verità non me ne importa niente,
“abbiamo tutto in camper, lascia andare”.
In breve coi cagnetti sistemati
abbiam concluso la lunga giornata
nei nostri bei lettucci preparati
per l’indimenticabile ronfata.
La notte scende placida e silente,
forse sta già sognando tutto il campo,
nel dormiveglia qualcheduno sente
il tuono che riecheggia dopo il lampo.
Di sveglio non c’è solo il Trentadue,
preoccupato per la sua vettura,
ma forse siamo ancora più di due
a ricordare nella notte scura,
tutte quelle romantiche emozioni
da noi vissute nei passati giorni.
Ci ricompare Mosca, i suoi lampioni
che illuminan Moscova e i suoi dintorni;
il museo Pushkin, il centro nucleare,
l’anello d’oro, la sosta in piazza Rossa,
San Pietrobugo, la Neva ed i suoi ponti.
Ricordar tutto credo non si possa,
meglio dormire per essere pronti
al viaggio che ci spetta l’indomani.
Con un irrefrenabile sbadiglio
sotto il cuscino infilo le mie mani;
mi trovo anch’io nel sogno qualche miglio.

17 Agosto, LA FRONTIERA BIELORUSSA

Sonno profondo ma altrettanto breve.
Ciascuno riparato dall’ombrello
richiede al Nove ciò che dir ci deve.
Nove: “Non vedo ancora tempo bello,
anzi di scrosci, temporali e lampi
oggi faremo grossa indigestione,
vedremo fiumi che invadono i campi,
in cielo e terra tanta confusione”.
Sedici, “ma così ci fai spavento,
sembra che una catastrofe sia in atto,
dicci almeno se arriva un po’ di vento”.

 “Ma guarda che non son del tutto matto,
rallegrati, in fondo al cuore sento
profilarsi un finale di giornata
con il tramonto e con l’arcobaleno;
adesso riformiamo la “sfilata”
attendi e ci sarà anche il sereno”.
Così, con quelle previsioni in mente
si parte per la prossima frontiera.

 A un certo punto l’acqua non si sente,
per un momento sembra primavera,
ci si ferma per una breve sosta;
c’è chi fuma, e c’è chi si risciacqua,
c’è chi per sete dal pozzo lì apposta
inutilmente pompa un po’ di acqua
 
Per il pranzo si fa una sosta ancora,
ove si riempion di rozza benzina
le taniche portate fino allora
per far felice chi? Qui s’indovina!
Poi via per Brest, a riveder le stelle
poste al centro del viale alla memoria
di eroi che nelle loro età più belle
persero vita ed ebbero la gloria.
Alla frontiera ormai ravvicinata,
per tutta Brest compatti e incolonnati
facemmo una simpatica parata.
Uno a colonna “eccoci arrivati”.

Come previsto da numero Nove
il cielo si fa sempre più sereno,
la nube piano piano si rimuove
e dà colori all’arcobaleno.
Anche il sole calante si nasconde
in un rosso e romantico tramonto…
il tuono finalmente non risponde
per rendere più vero il mio racconto.
E qui la vecchierella si fa avanti
con la sua borsa vuota, a mano tesa.
Uno a colonna “date tutti quanti
almeno un euro, ne sarà sorpresa”.

Nessuno fece orecchio da mercante,
da ogni camper la cara nonnina
di sorpresine n’ebbe così tante
che non stavano dentro la borsina.
Con euro, pasta, il miele ed il caffè
sempre appoggiata al suo “pseudobastone”
fece tutta la strada “avanti e indre’”
piena di pacchi e tutta in confusione.
Vedendola così in difficoltà
l’omino sì “crudel col suo capello”,
mostrando una decisa umanità,
fece un gesto che parve proprio bello:
presa per braccio quella fortunata,
che non sapeva più che cosa fare
per ringraziare l’itala brigata,
la fece lentamente attraversare,
e notammo, nel buio, da lontano,
che nacque pure una conversazione
e scomparvero mano nella mano
lasciandoci il ricordo e l’emozione.
Intanto alla dogana le ragazze
mandate lì dall’Organizzazione
si prodigavan (forse come pazze)
per il nostro passaggio oltre stazione.
Trascorre il tempo, senza più argomenti
ci ritiriamo nelle nostre stanze
per passare quegli ultimi momenti
ormai di conclusione di vacanze.

Uno a colonna “aspettiamo il domani,
ceniamo, e questa notte a riposare!”.
Sentito quell’annuncio i nostri cani
chiusero gli occhi e presero a ronfare.
L’indomani si apre la frontiera
e del passaggio abbiam la prelazione,
e coi vestiti dell’ultima sera
passa ogni autista, e via in processione

18 Agosto, A TERESPOL, L'ADDIO

A Terespol, nel campo ritrovato
dopo aver preso tutti posizione,
qualcuno già si appresta a far bucato,
altri consumano la colazione,
altri ancora rovescian la “nutella”.
Il Due sistema fuori il seggiolino
e approfitta per far la tintarella,
schiacciando un improvviso pisolino.
 Il Sedici già deve andare via
verso l’Italia, ma non se la piglia,
saluta tutti, un po’ di nostalgia
ma deve ritornare alla famiglia.

C’è ancora tempo per l’aggregazione;
mi unisco con il Perri e la Pepita
ad un gruppetto che ha l’intenzione
di andare nel paese a far la gita.
Quattro verdure e frutta in abbondanza
dentro il sacchetto, in qualche maniera
torniamo ai camper “adesso si pranza”.
Nel pomeriggio, quasi fino a sera
il solo impegno è quello dei conguagli
di conti calcolati “in alta sfera”,
speriamo non vi siano troppi sbagli

Prima però il bagnetto nel catino
ove immergiamo i luridi cagnetti.

 Alle bambine sembra un teatrino;
collaborando senza far dispetti
insaponano bene tutto il pelo,
e strofinano orecchie, zampe e coda
asciugandoli poi con grande zelo.
Ne risultano cani da gran moda.
E qui ora mi piace dedicare
elogi alla nostra gioventù:
per tutto il viaggio un contegno esemplare,
questo ci basti, non dico di più.

Ormai se ne sta andando anche quel giorno:
buffet e aperitivo son già pronti,
ci si raduna tutti lì d’intorno,
è l’ora di ascoltare i rendiconti
Piero ringrazia l’Organizzazione
per tutti i risultati conseguiti.
Ugo ringrazia come da copione
ciascun dei camperisti lì riuniti.

Simona e Greta ascoltano per mano;
e a me viene, per caso, nella mente,
che mio padre era, in guerra, il capitano,
ma gli ordini eseguiva di un tenente:
gli ordini gli giungevano man mano,
senza che ci potesse fare niente.
Comunque qui dobbiamo convenire:
malgrado vi sia stato qualche “dramma”
i “due” sono riusciti ad eseguire
per intero il fantastico programma.
Anche le nostre belle signorine
han preparato una composizione,
scritta col cuore e parole carine,
che in tutti crea non poca commozione;
dopo di averla insieme declamata,
ne fanno dono ad Ugo con affetto,
consegnandola tutta arrotolata,
guadagnando ciascuna un bel bacetto.
Il Casarin consegna al Club La Granda
Gorbacioff in ritratto a carboncino;
rispondendo a chi chiede “chi lo manda?”
“è l’Ammiraglio Sanpietroburghino”.
Distribuzione poi di matrioschine,
sigarette per sola collezione,
e ancora depliants e cartoline,
il tutto con applauso ed ovazione.
L’aperitivo viene consumato
tra baci, stretti abbracci ed emozione;
la Ventiquattro mi ha rimproverato
per il mio abbraccio con poca passione.

Ci si scambian consigli e itinerari
adatti per concluder le vacanze.
Qualcuno ha gia’ acceso i propri fari.
Stasera rinunciamo anche alle danze.
A proposito, il Due non si lamenti,
la sua danza l’ha fatta tante volte
alle frontiere, quando, noi frementi,
speravamo di andare “a briglie sciolte”,
e lui ci tratteneva stando in testa,
talvolta anche fuori carreggiata,
mentre la fila dietro si riassesta,
finchè diviene tutta compattata.
Ci rimane soltanto un pensierino
da suggerire in questa situazione
a qualcheduno che sta lì vicino,
e il diario è quasi giunto a conclusione.
Da Terespol, domani, la partenza:
Maurizio, Manuèl, Cristina e Giada,
di lor non si può proprio fare senza,
ritorneran con me sull’autostrada,
con Ludovica, Andrea, Pepita e Perri,
non manca più nessuno al nuovo appello,
salvo naturalmente Tom e Gerry.
Andare insieme nelle case a ruote,
(questa volta mi aiuta l’esprienza),
è scoprir che le ore non son vuote…
nasce la nostalgia se resti senza.

In tutta fretta, il mattino dopo,
varchiamo già il cancello dell’uscita,
e la sua posizione, come d’uopo,
riprende in camper anche al Pepita

Ehi tu, lettore, tira giù il sipario…
hai letto tutto dalla A alla ZETA?
Ricordati che questo è il folle diario
d’un tizio improvvisatosi poeta.

 gian luigi