Consigli pratici - varie

La Polenta

08.12.2015

GUSTARE E SAPERE    
di Marzia Pulici


LA POLENTA
Sarà capitato sicuramente a tutti in una fredda giornata invernale di sedere ad una tavola con parenti o amici per gustare qualche deliziosa pietanza accompagnata da quella che mi piace osare definire la “regina della tavola” : una fumante polenta !
Non tutti sanno però che questo tanto umile quanto sontuoso alimento ha una storia molto molto antica in quanto le sue origini possono essere ricercate addirittura nei lontanissimi tempi dell’uomo primitivo. Pare infatti che quest’ultimo per alimentarsi avesse a disposizione dei cereali che macinava grossolanamente utilizzando due pietre e poi cuoceva sul fuoco in acqua bollente; più o meno la stessa cosa succedeva nella civiltà assiro-babilonese e così pure in quella egizia mentre i romani utilizzavano un cereale simile al grano ma più duro, il farro, per realizzare una sorta di polentina molle che chiamavano “pultem” e che servivano accompagnata da carni o formaggi.
Fu solo con la scoperta dell’America che si arrivò a conoscere l’ingrediente che da quel momento e fino ai giorni nostri ha rappresentato l’ingrediente più nobile per la polenta : il mais; Cristoforo Colombo infatti, sbarcando nelle attuali isole caraibiche oggi Repubblica Dominicana e Haiti, scoprì quei “grani d’oro” che gli indigeni chiamavano “mahiz”. Nell’America centrale pare che il mais fosse coltivato già tremila anni fa e che nella civiltà Maya il ritmo stesso della vita fosse scandito dal ciclo del mais; in Europa invece fu introdotto agli inizi del 500, epoca a cui risalgono le prime coltivazioni in Spagna e in Portogallo.. In Italia si hanno notizie della polenta di farina gialla intorno al 1550 e pare siano stati i friulani a precedere le altre popolazioni italiche sia nella coltivazione del mais che nella preparazione della polenta,ma su questa notizia nasce una sorta di dilemma. Il mais infatti veniva comunemente chiamato “granoturco”: ma perché “turco”? Due sono le ipotesi.
La prima ci spiega che nel primo 500 tutto ciò che era per così dire straniero, nel linguaggio comune veniva chiamato “turco” e così anche a quel grano che veniva da lontano fu appioppato questo nomignolo; la seconda invece ci racconta che il mais a quell’epoca fosse già arrivato dall’Oriente proprio col nome di granturco e avrebbe raggiunto i territori friulani passando da Venezia. Ciascuno è libero di credere più o meno all’una o all’altra delle ipotesi; certo è che nei secoli successivi in Europa ed in particolare in Italia avvenne la grande diffusione del mais che si trovò sempre più ampiamente utilizzato nella preparazione della polenta. Per molteplici popolazioni divenne l’elemento fondamentale dell’alimentazione quotidiana e in tempi difficili ha rappresentato l’elemento risolutivo del problema alimentare che attanagliava le famiglie, tanto che un eccessivo ed esclusivo consumo, ha generato il diffondersi di una malattia detta pellagra. In realtà la polenta è tutt’altro che un alimento povero in quanto fornisce un buon apporto di sostanze nutritive ed è sufficiente accompagnarla con semplici condimenti (legumi, carni o formaggi) per trasformarla in un alimento completo, gradevole, autentico e genuino.
Se vogliamo mangiare una polenta “come si deve”, lontana dalle molteplici imitazioni moderne che la preparano in cinque minuti e fra poco anche nel microonde, dobbiamo usare gli stessi utensili di un tempo e la stessa modalità di preparazione e di cottura delle nostre nonne; è quasi ormai scomparso il tradizionale paiolo attaccato alla catena del camino, ma lo sostituisce adeguatamente una bella ramaiola (paiolo di rame) posta sopra un fuoco deciso e vigoroso, ma non troppo perché non si bruci, una robusta spatola di legno e abbondante olio di gomito per lavorarla rimestando con energia e regolarità per circa un’ora.
La ricetta originale, che poi ogni cuoco personalizza con i propri “tocchi d’autore” , prevede l’uso di un litro di acqua con 300 gr. di farina per una polenta bella soda, 250 gr. per una consistenza media e 200gr. per quella molle e sale a volontà; anche qui si apre la diatriba per stabilire quale consistenza sia la migliore e soprattutto la più fedele alla polenta antica, ma è preferibile lasciare la risposta al gusto di ciascun consumatore e ancor meglio scegliere di abbinare un tipo piuttosto che l’altro alla pietanza che le si accompagna. La polenta per eccellenza ha ovviamente come ingrediente principale la farina di mais, cereale che contiene carboidrati, facilmente digeribile e con il pregio di procurare un ottimo senso di sazietà dopo averne mangiata una quantità non esagerata; è, per questo, un alimento adatto ed utile a tutte le età.
Ma lo sapevate che anche la letteratura si è degnamente occupata della polenta? Se ne trova ampio cenno per esempio nel Codice Palladiano e nelle Satire di Persio; nel 1700 si trovano notizie di un “Accademia dei Polentai” nella città di Pisa e in tempi più vicini a noi di un” Circolo della Polenta”, con sede a Parigi e con iscritti molti artisti e letterati italiani e del quale esiste un curioso stemma a mosaico con una bella polenta tutta d’oro rappresentata al centro. E’ della fine del 700 l’Ode alla Polenta, scritta da un tale Ludovico Pastò che così declamava:

…la me piase dura e tenera,
in fersora e su la grela,
in pastizo, in la paela;
coi sponzioli, coi fongheti,
col porselo, coi oseleti,
cole tenche, coi bisati,
con le anguele per i gati;
e po’ insoma in tuti i modi,
la polenta xe ‘l mio godi!

Un certo Jacopo Faoen scrisse poi i versi intitolati “il Mais e la Polenta” che così recitano:

…l’acqua gurgita e rigurgita,
mena vortici e capitomboli,
stride e crepita fuor dal margine,
balza e trabocca e lungi lungi le bolle scocca.
Su dunque subito, su versa tutta
in mezzo ai vortici che l’acqua erutta
la farina e via pian piano
colla mestola, colla spatola,
col matterello lungo un’asta,
abbrancato nella mano
manipola, rimescola, voltala e rivoltala
sopra il foco che la cuoce,
che l’asciuga e la svapora,
che l’informa, che diventa giallo bionda,
tonda, tonda, la balsamica polenta!

Insomma dopo tutte queste curiose notizie sulla nostra bene amata polenta, direi che sarebbe proprio il caso di elevarla al rango di cibo etnico consacrato da secoli di consumo; è un vero e proprio gioiello culinario che andrebbe inserito nello slow food dei nostri tempi moderni, nel tentativo di ritrovare il gusto e il valore di mangiare come rito e non come gesto meccanico dettato dalla necessità, come ormai troppo spesso succede.
Buon appetito quindi e l’augurio di potercelo scambiare davanti ad una splendida, fumante polenta!!!